8° incontro

- Da Papa Francesco, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale “Fratelli tutti

  1. 78. È possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito. Cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano. Le difficoltà che sembrano enormi sono l’opportunità per crescere, e non la scusa per la tristezza inerte che favorisce la sottomissione. Però non facciamolo da soli, individualmente. Il samaritano cercò un affittacamere che potesse prendersi cura di quell’uomo, come noi siamo chiamati a invitare e incontrarci in un “noi” che sia più forte della somma di piccole individualità; ricordiamoci che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013). Rinunciamo alla meschinità e al risentimento dei particolarismi sterili, delle contrapposizioni senza fine. Smettiamo di nascondere il dolore delle perdite e facciamoci carico dei nostri delitti, della nostra ignavia e delle nostre menzogne. La riconciliazione riparatrice ci farà risorgere e farà perdere la paura a noi stessi e agli altri.

 

- Dalla vita e dagli scritti di Piccola sorella Magdeleine (1898 – 1989)

(seconda parte)

Prima di ogni altro libro, è il Vangelo che Piccola sorella Magdeleine propone alle prime Piccole sorelle che si stanno preparando in Francia a vivere questo nuovo tipo di fraternità con gli ultimi, ma è nella preghiera silenziosa davanti al tabernacolo che fratel Charles nutriva il suo ardente desiderio di restare incessantemente in ascolto di Gesù. Magdeleine attinge alla stessa fonte: non può esistere fraternità senza una cappellina che ospiti la presenza eucaristica e che ne rappresenti il cuore autentico. Così la vita delle prime Piccole sorelle è già segnata dall’adorazione silenziosa davanti al santo sacramento, luogo prediletto per l’attesa dell’Amato, luogo di intimità, di ascolto della Parola, ma anche di intercessione per il mondo intero.

Piccola sorella Magdeleine ha sempre pensato che per conoscere la volontà di Dio le fosse necessario rimettersi sempre alla mediazione della Chiesa, alla quale spettava il compito di confermarla nelle sue intuizioni di fondatrice. Nel 1944 andrà a Roma, da papa Pio XII, a chiedere la ratifica delle Costituzioni della nuova Fraternità. Diceva alle sue Piccole sorelle: “Questa via è piena di difficoltà e pericoli, perché ad ognuna delle sue svolte, sul ciglio di tutti i suoi precipizi, non troverai una barriera, un parapetto che ti dia piena sicurezza. Per sostituirli ci vorrà una formazione solida dell’intelligenza, del giudizio, della volontà e del cuore. Ti occorrerà soprattutto un immenso amore”.

Verso la fine della vita, riassume così la vocazione della Fraternità. “Ogni fraternità dovrebbe essere come la grotta di Betlemme, una manifestazione della presenza di Gesù, un raggio di luce e di speranza nel cuore della sofferenza di un mondo ingiusto e violento”.

“È per tutti che il Signore Gesù ha sofferto ed è morto, continuate ad amare i poveri di un amore preferenziale, perché è a loro che voi siete particolarmente consacrate. Date loro il meglio di voi stesse … ma, vi supplico, non fate l’errore di quelli che, in parole o azioni, hanno innalzato barriere ancora più imponenti tra gli uomini, eccitando le passioni umane degli uni contro gli altri, perché hanno dimenticato di levare gli occhi verso la croce di Gesù salvatore, che, dall’alto del Calvario di Gerusalemme, abbracciava l’umanità intera, da un capo all’altro del mondo”.

Nel 1948, insieme ad alcune sorelle partecipa a un grande pellegrinaggio di gitani a Les-Maries-de-la-Mer. Scrive a padre Voillaume: “A tutte le funzioni eravamo con loro, cenavamo con loro, per terra, tra due roulotte. Ci dicevano: «Sono gitane come noi!». Ci siamo inserite profondamente nella vita dei gitani. … Intrecciamo vimini, facciamo cuocere il pranzo sulle pietre. Abbiamo tessere di identità come loro. La nostra roulotte fin troppo bella è stata accettata perché è la roulotte-cappella, come dicono loro: «la roulotte del buon Dio»”.

Nel 1949 Magdeleine arriva in Libano e poi in Terrasanta straziata dalla guerra. Subito attratta dalle chiese orientali resta colpita dal fatto che da secoli i cristiani di quelle chiese vivono la loro fede in mezzo ai musulmani. Non l’hanno scelto, ma la realtà quotidiana della loro vita è segnata da queste relazioni di buon vicinato e di convivialità, così com’è anche segnata dalle sofferenze patite a causa della loro fede.

Poiché la fraternità prende slancio e il numero delle sorelle aumenta, Piccola sorella Magdeleine pensa di farsi sostituire nel servizio di responsabile generale, affinché la Fraternità sia sufficientemente strutturata qualora essa dovesse venire a mancare. Questo le darebbe, tra l’altro, la libertà di dedicarsi al alcune fondazioni più esposte: pensa ai paesi dell’Europa dell’est, isolati a quell’epoca da quella che veniva chiamata “la cortina di ferro”.

Continuamente e instancabilmente Piccola sorella Magdeleine fonda piccole fraternità di sorelle: dal Congo al Camerun, al Libano, sempre in mezzo ai più poveri e come loro vivere in capanne, case, roulotte …, non solo quindi essere vicino ai poveri, ma con loro.

Andrò avanti così, fino in capo al mondo, per cercare di dire a tutti che bisogna amarsi e per lasciare ovunque delle piccole sorelle che lo ripetano dopo di me. … È terribile l’odio e lo si tocca a ogni passo. Gli uomini si fanno a pezzi, moralmente e fisicamente, e in troppi paesi si educano i bambini nell’orgoglio e nel desiderio di vendetta.

Per questo vorrei che ci fosse tanto amore nel cuore delle Piccole sorelle, una gioia divina nel loro sguardo e nel loro sorriso, in modo che anche i più cattivi ne siano toccati, come dalla presenza del Signore. Per questo è necessario innanzitutto che vi amiate tra Piccole sorelle. … Fino all’ultimo respiro continuerò a ripetervi le stesse parole. Siate buone, piene di amore, miti e sorridenti innanzitutto con le vostre Piccole sorelle, altrimenti il vostro sorriso suonerà falso, e la vostra dolcezza non sarà altro che apparenza mondana”.

 

Dagli Scritti delle Comunità, l’intero testo di può trovare nel Not 153, pag. 41

- padre Andrea Gasparino

COMUNITÀ, FAMIGLIA VERA

Carissimi,

ritengo che uno dei più grandi doni che il Signore ha fatto alla Comunità è la grazia dell’unità. Più mi giro intorno e più vedo che è un dono impareggiabile e che è un dono che il Signore non fa sempre e non fa a tutti. A noi l’ha fatto. A noi tocca difenderlo. Bisogna che ci impegniamo a custodire questo dono come uno dei nostri più gran­di tesori.

Il perno di questa unità, i custodi di que­sto dono sono la vostra generosità e sono i responsabili. …

Sono contento che dal nostro vocabolario è scomparsa la parola “superiore” e ha preso posto con naturalezza l’altro di “responsabile”. Ma perché un responsabile dell’unità possa essere veramente tale occorre che tutti diventino corre­sponsabili con lui, lo siano anche nei momenti dif­ficili, lo siano nei tempi della gioia e in quelli del­l’amarezza: lo siano anche quando c’è un’ombra di incomprensione, perché siamo uomini di carne ed ossa, quindi soggetti a tutte quelle difficoltà a cui sono soggette tutte le famiglie. Voi conoscete una sola famiglia ove non ci siano mai delle difficoltà di intesa? Io credo che sulla terra non possono esi­stere. Noi abbiamo la grazia di essere ben uniti ma tutti passerete per la strada della prova della vostra carità, o per una cosa o per l’altra, o presto o tardi, ma passerete. Bisogna che ci premuniamo bene.

Qual è il primo obbligo che avete verso di me? Forse vi aspettate che io cominci dalla preghiera. No, non comincio di lì. Comincio da una cosa molto più umana, molto più elementare. Co­mincio dalla lealtà. Il primo dovere che avete ver­so di me è questo. Perdonatemi se ve lo esprimo con una frase che forse vi resterà impressa: do­vete impegnarvi a mai ruminare. Questo, credo, è il vostro primo dovere. Voglio dire che non do­vete lasciar “covare” dentro di voi le vostre dif­ficoltà, nasconderle; chi “cova”, chi “rumina” prepara infallibilmente il crollo della carità. Avete infiniti modi per manifestarvi, dovete usare quelli che sapete usare, ma dovete farlo.

Dopo questo dovere ve ne cito un secondo: dovete essere umani, cioè pieni di buon senso. Poi tengo soprattutto a dirvi: dovete credere e sapere che il responsabile è soggetto a sbagliare come lo sie­te voi. È naturale che sbagli, è naturale che possa avere, molte volte, dei punti di vista opposti ai vostri, però io noto questo: quando ci vogliamo realmente bene i punti di vista opposti prendono proporzioni sempre modeste; se tutti subito sem­bravano montagne, diventano montagnette, poi si cambiano in mucchietti di pietre che si possono be­nissimo superare. Quando ci vogliamo veramente bene siamo ca­paci di dirci qualunque cosa e siamo capaci di accettare i punti di vista opposti o almeno sappia­mo ascoltarli e scoprire quello che in essi c’è di buono.

Essere umani col responsabile significa secon­do me anche questo: accettare i suoi difetti con un briciolo di fede. Se la Comunità è un’opera di Dio, Dio la co­struisce giorno per giorno con le pietre che vuole lui. …

Da ultimo metto la preghiera per il responsabile, non perché la stimi l’ultima cosa, ma perché ritengo che prima di mettere il tetto alla casa, bisogna met­tere le fondamenta e alzare i muri. Credo che a nulla vale pregare se ho tutto un turbinio dentro di cose che hanno già distrutto la carità; prima devo fare la parte che spetta a me, poi implorerò la parte che spetta a Dio.

Ho finito? Basta tutto questo per adempiere i doveri verso il responsabile? No, questo è solo la ba­se di partenza, da questa base poi deve partire il vero affetto, perché senza questa base l’affetto non c’è mai, non è mai vero. … A voi e a me interessa solo che siamo una vera famiglia. Allora cosa ci vorrà di più? Chi ha un cuore sensibile può capire bene: ci vuole tutto quello che fa l’amore vero, come avviene in una famiglia. L’amore in una famiglia è fatto di un’infinità di piccole cose: la stima, la fiducia, la confidenza, la cordialità, le attenzioni, le premure, i sacrifici, le rinunce ai propri gusti, indovinare i desideri, il confortare, il consigliare, l’aiutare, il compatire, il perdonare, il non marcare troppo i difetti, l’attenzione più alle doti che ai difetti..., è fatto di queste pic­cole, mille cose l’affetto vero. Se io amo faccio conti­nuamente tutte queste piccole cose per ognuno di voi e voi fate lo stesso per me.

Io credo che quando il vostro amore ha que­sta carica umana allora non c’è più da parlare di ubbidienza, allora siamo veramente giunti alla vi­ta di Nazareth, allora si è anche pronti a tutte le prove, perché tutti i momenti il Signore ha da far imparare qualcosa di nuovo che non si sapeva an­cora o che si era dimenticato e allora manda una piccola croce che fa da guida, da maestra. Oppure il Signore ha da fare sempre nuovi doni e allora occorrono sempre nuove croci che preparino la strada ai doni che lui deve fare. E la vita quanto diventa bella! Quando spun­ta Nazareth in una comunità è come se spuntasse il sole: tutto diventa festoso e bello.

Pensate a queste cose davanti al tabernacolo. Dio vi benedica. Amate la Madre di Dio.