- Dal CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (nn. 1950-1951)

La legge morale è opera della Sapienza divina. La si può definire, in senso biblico, come un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio. Prescrive all’uomo le vie, le norme di condotta che conducono alla beatitudine promessa; vieta le strade del male, che allontanano da Dio e dal suo amore. Essa è ad un tempo severa nei suoi precetti e soave nelle sue promesse.

La legge è una regola di comportamento emanata dall’autorità competente in vista del bene comune. La legge morale suppone l’ordine razionale stabilito tra le creature, per il loro bene e in vista del loro fine, dalla potenza, dalla sapienza, dalla bontà del Creatore. Ogni legge trova nella Legge eterna la sua prima e ultima verità. La legge è dichiarata e stabilita dalla ragione come una partecipazione alla provvidenza del Dio vivente, Creatore e Redentore di tutti. “L’ordinamento della ragione, ecco ciò che si chiama la legge” (LEONE XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum, citazione da SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae).  

“L’uomo è il solo tra tutti gli esseri animati che possa gloriarsi d’essere stato degno di ricevere una Legge da Dio; animale dotato di ragione, capace di comprendere e di discernere, egli regolerà la propria condotta valendosi della sua libertà e della sua ragione, nella docile obbedienza a colui che tutto gli ha affidato” (TERTULLIANO, Adversus Marcionem).

 

- Da PAPA FRANCESCO, Catechesi sui Comandamenti (1, del 13 giugno 2018)

 

INTRODUZIONE: IL DESIDERIO DI UNA VITA PIENA

Mc 10,17-21

… Iniziamo oggi un nuovo itinerario di catechesi sul tema dei comandamenti. I comandamenti della legge di Dio. Per introdurlo prendiamo spunto dal brano appena ascoltato: l’incontro fra Gesù e un uomo - è un giovane - che, in ginocchio, gli chiede come poter ereditare la vita eterna (cfr Mc 10,17-21). E in quella domanda c’è la sfida di ogni esistenza, anche la nostra: il desiderio di una vita piena, infinita. Ma come fare per arrivarci? Quale sentiero percorrere? Vivere per davvero, vivere un’esistenza nobile… Quanti giovani cercano di “vivere” e poi si distruggono andando dietro a cose effimere. 

Alcuni pensano che sia meglio spegnere questo impulso - l’impulso di vivere - perché pericoloso. Vorrei dire, specialmente ai giovani: il nostro peggior nemico non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici: il pericolo più grande della vita è un cattivo spirito di adattamento che non è mitezza o umiltà, ma mediocrità, pusillanimità. [1] Un giovane mediocre è un giovane con futuro o no? No! Rimane lì, non cresce, non avrà successo. La mediocrità o la pusillanimità. Quei giovani che hanno paura di tutto: “No, io sono così …”. Questi giovani non andranno avanti. Mitezza, forza e niente pusillanimità, niente mediocrità. Il BEATO PIER GIORGIO FRASSATI - che era un giovane - diceva che bisogna vivere, non vivacchiare. [2] I mediocri vivacchiano. Vivere con la forza della vita. Bisogna chiedere al Padre celeste per i giovani di oggi il dono della sana inquietudine. Ma, a casa, nelle vostre case, in ogni famiglia, quando si vede un giovane che è seduto tutta la giornata, a volte mamma e papà pensano: “Ma questo è malato, ha qualcosa”, e lo portano dal medico. La vita del giovane è andare avanti, essere inquieto, la sana inquietudine, la capacità di non accontentarsi di una vita senza bellezza, senza colore. Se i giovani non saranno affamati di vita autentica, mi domando, dove andrà l’umanità? Dove andrà l’umanità con giovani quieti e non inquieti?

La domanda di quell’uomo del Vangelo che abbiamo sentito è dentro ognuno di noi: come si trova la vita, la vita in abbondanza, la felicità? Gesù risponde: «Tu conosci i comandamenti» (v. 19), e cita una parte del Decalogo. È un processo pedagogico, con cui Gesù vuole guidare ad un luogo preciso; infatti è già chiaro, dalla sua domanda, che quell’uomo non ha la vita piena, cerca di più è inquieto. Che cosa deve dunque capire? Dice: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (v. 20).

Come si passa dalla giovinezza alla maturità? Quando si inizia ad accettare i propri limiti. Si diventa adulti quando ci si relativizza e si prende coscienza di “quello che manca” (cfr v. 21). Quest’uomo è costretto a riconoscere che tutto quello che può “fare” non supera un “tetto”, non va oltre un margine. 

Com’è bello essere uomini e donne! Com’è preziosa la nostra esistenza! Eppure c’è una verità che nella storia degli ultimi secoli l’uomo ha spesso rifiutato, con tragiche conseguenze: la verità dei suoi limiti.

Gesù, nel Vangelo, dice qualcosa che ci può aiutare: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Il Signore Gesù regala il compimento, è venuto per questo. Quell’uomo doveva arrivare sulla soglia di un salto, dove si apre la possibilità di smettere di vivere di se stessi, delle proprie opere, dei propri beni e - proprio perché manca la vita piena - lasciare tutto per seguire il Signore. [3] A ben vedere, nell’invito finale di Gesù - immenso, meraviglioso - non c’è la proposta della povertà, ma della ricchezza, quella vera: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (v. 21).

Chi, potendo scegliere fra un originale e una copia, sceglierebbe la copia? Ecco la sfida: trovare l’originale della vita, non la copia. Gesù non offre surrogati, ma vita vera, amore vero, ricchezza vera! Come potranno i giovani seguirci nella fede se non ci vedono scegliere l’originale, se ci vedono assuefatti alle mezze misure? È brutto trovare cristiani di mezza misura, cristiani – mi permetto la parola – “nani”; crescono fino ad una certa statura e poi no; cristiani con il cuore rimpicciolito, chiuso. È brutto trovare questo. Ci vuole l’esempio di qualcuno che mi invita a un “oltre”, a un “di più”, a crescere un po’. SANT’IGNAZIO lo chiamava il “magis”, «il fuoco, il fervore dell’azione, che scuote gli assonnati». [4]

La strada di quel che manca passa per quel che c’è. Gesù non è venuto per abolire la Legge o i Profeti ma per dare compimento. Dobbiamo partire dalla realtà per fare il salto in “quel che manca”. Dobbiamo scrutare l’ordinario per aprirci allo straordinario.

In queste catechesi prenderemo le due tavole di Mosè da cristiani, tenendoci per mano a Gesù, per passare dalle illusioni della giovinezza al tesoro che è nel cielo, camminando dietro di Lui. Scopriremo, in ognuna di quelle leggi, antiche e sapienti, la porta aperta dal Padre che è nei cieli perché il Signore Gesù, che l’ha varcata, ci conduca nella vita vera. La sua vita. La vita dei figli di Dio.

  

  • I Padri parlano di pusillanimità (oligopsychìa). SAN GIOVANNI DAMASCENO la definisce come «il timore di compiere un’azione» (Esposizione esatta della fede ortodossa, II,15) e SAN GIOVANNI CLIMACO aggiunge che «la pusillanimità è una disposizione puerile, in un’anima che non è più giovane» (La Scala,

XX, 1, 2). 

  • Cfr Lettera a Isidoro Bonini, 27 febbraio 1925.
  • «L’occhio è stato creato per la luce, l’orecchio per i suoni, ogni cosa per il suo fine, e il desiderio dell’anima per slanciarsi verso il Cristo» (NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 90).
  • Discorso alla XXXVI Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, 24 ottobre 2016: «Si tratta di magis, di quel plus che porta Ignazio ad iniziare processi, ad accompagnarli e a valutare la loro reale incidenza nella vita delle persone, in materia di fede, o di giustizia, o di misericordia e carità».

 

- Dalle Prediche di PADRE RANIERO CANTALAMESSA

 

IL COMMENTO AI COMANDAMENTI

In noi si nasconde il fariseo dottore della Legge che mette alla prova Gesù. Anche quando le domande circa gli eventi che non comprendiamo sono avvolte nel mantello della preghiera, occorre fare molta attenzione. I PADRI DEL DESERTO ci insegnano a chiedere ai pensieri che si affacciano in noi: “siete dei nostri o del nemico?”. I farisei erano i più religiosi, conoscevano la Scrittura e la Tradizione, vivevano una vita impeccabile. Ma proprio questa profonda dimestichezza con le cose di Dio celava il pericolo dell'ipocrisia, la doppiezza che sbarra la strada alla conversione e alla felicità. Così in noi. Ci avviciniamo al Signore chiedendo quale sia il comandamento più grande in questa concreta situazione che siamo chiamati a vivere; cerchiamo la chiave per risolvere le questioni e vivere nella pace, secondo la volontà di Dio, ma, spesso, proprio dentro a queste domande si nasconde un cuore perverso che tenta Dio. Un cuore attaccato alla propria volontà, ai propri criteri, religiosi e quindi umani, alle proprie pre-comprensioni che in fondo non sono che pregiudizi. Preghiamo, ci consultiamo, chiediamo aiuto, ma in fondo si tratta solo di un vano mormorare contro Dio, rivestito - ipocritamente - di pietà, per indurre le circostanze a prendere la piega che desideriamo e crediamo essere l’unica giusta e ragionevole; e tutto questo legittimato dall’autorità dell’imprimatur religioso di chi, umilmente, ha cercato e trovato la via per compiere la Legge, la volontà di Dio.

È l’atteggiamento di quanti si avvicinano a Gesù chiedendogli quale sia il comandamento più grande. Il termine comandamento, secondo le sfumature dell’ebraico, rappresenta una parola che affida un incarico, un comando fissato come un ordine di servizio; è la legge "incisa" che orienta e dirige il compimento di una missione. Il comandamento, secondo la tradizione di Israele, è sempre una parola di vita. Osservare, compiere i comandamenti è la via alla riuscita della vita, perché la vita è una missione affidata a ciascun uomo: “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, ed il vostro frutto rimanga”. È quanto chiede il dottore della Legge, e quello che chiediamo oggi nella concreta situazione nella quale ci troviamo. Ma stiamo tentando Gesù. Per questo, accanto allo Shemà Gesù affianca l’amore al prossimo: fa rimbalzare la domanda su di noi. Ce la restituisce con la risposta celata dentro. Ecco il comandamento più grande: Ascoltare - obbedire - amare Dio con tutto se stessi. “E il prossimo come se stessi”. La risposta circa la Parola fondamentale sulla vita, è nell’amore al prossimo. Lo Shemà era per qualunque Israelita il più grande comandamento. La novità che rende unica la risposta di Gesù sta nell’amore al prossimo. E proprio in questo la tentazione cui il dottore della Legge sottopone Gesù si trasforma in chiamata a conversione per egli stesso. Chi sei? Per chi e per che cosa vivi? Che ne è delle tue relazioni, delle persone che ti sono accanto? Che ne è di Abele? Ami o no? La questione è davvero cruciale, decisiva. Ci smaschera: vorremmo piegare le circostanze a nostro favore, fare della nostra volontà quella di Dio. Non siamo liberi ma schiavi di noi stessi. E il Signore oggi viene a liberarci con la sua Parola di Verità: non amiamo nessuno e per questo tentiamo Dio. Non vogliamo lasciar nulla di noi stessi, gli altri sono un ingombro, al punto che dovrebbero rendersi conto che l’unica forma di essere amati è quella che noi abbiamo pensato per loro. Marito, moglie, figli, fidanzati, tutti come marionette amate dal nostro egoismo. Ma il Signore oggi ci illumina: Cerchi Dio e la sua volontà? “Vai a chiamare il tuo prossimo”. Fammi vedere come ami chi ti è accanto. Per questo Gesù ha mostrato in se stesso il fondamento di questo comandamento: lo ha mostrato sulla Croce, nell’annientamento totale, subendo l’ingiustizia più grande, facendo sua l’umiliazione di Giobbe. Laddove la carne non aveva più risposte, infilzate tutte le ipotesi e le soluzioni, Gesù ha compiuto lo Shemà, offrendo se stesso al Padre nella consegna ad ogni uomo, ai suoi stessi carnefici. È solo al capolinea delle possibilità, nel fallimento completo di noi stessi che la vita comincia ad essere autentica. Laddove non abbiamo più argomenti con cui tentare Dio ha inizio la libertà di accogliere l’unicità di Dio, la sua Verità e il suo amore come uniche possibilità. Ed in essi abbandonare la nostra vita, pensiero, anima, e forze. Arrenderci a Lui infatti è la soglia dischiusa sull’amore al prossimo. Amarlo come se stessi significa infatti amarlo come siamo stati amati dall’unico amore; amarlo senza riserva alcuna, in una consegna a Colui che ci ha amato che non difende e risparmia nulla. L’assurdo di un amore che supera ogni limite, e per questo, entra nel Cielo, nel compimento della missione e della vita.