- Dal CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (nn. 1957-1958)

 L’applicazione della legge naturale si diversifica molto; può richiedere un adattamento alla molteplicità delle condizioni di vita, secondo i luoghi, le epoche e le circostanze. Tuttavia, nella diversità delle culture, la legge naturale resta come una regola che lega gli uomini tra loro e ad essi impone, al di là delle inevitabili differenze, principi comuni.

La legge naturale è immutabile (cfr CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 10) e permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane sotto l’evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso. Le norme che la esprimono restano sostanzialmente valide. Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere, né strappare dal cuore dell’uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società: “La tua Legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nel cuore degli uomini, legge che nemmeno la loro malvagità può cancellare”

(SANT’AGOSTINO, Confessiones).

 

 “Amerai il Signore tuo Dio

PRIMO COMANDAMENTO:

“IO SONO IL SIGNORE, TUO DIO. NON AVRAI ALTRO DIO FUORI DI ME”

(primaparte)

Nell’esplicita affermazione divina: “Io sono il Signore tuo Dio” è incluso il comandamento della fede, della speranza e della carità. Se noi riconosciamo infatti che egli è Dio, e cioè eterno, immutabile, sempre uguale a se stesso, affermiamo con ciò anche la sua infinita veracità; ne segue quindi l’obbligo di accogliere le sue parole e di aderire ai suoi comandi con pieno riconoscimento della sua autorità. Se egli inoltre è Dio, noi ne riconosciamo l’onnipotenza, la bontà, i benefici; di qui l’illimitata fiducia e la speranza. E se egli è l’infinita bontà e l’infinito amore, come non offrirgli tutta la nostra dedizione e donargli tutto il nostro amore? Ecco perché nella Bibbia Dio inizia e conclude invariabilmente i suoi comandi con la formula: “Io sono il Signore”. Perciò “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt 6,5).   

 

Il primo comandamento chiama l’uomo 

  • a credere in Dio, perché Lui ci rivela il suo amore, ci richiede di nutrire e custodire la nostra fede con prudenza e vigilanza e di respingere tutto ciò che le è contrario. Ci sono diversi modi di peccare contro la fede: dubbio volontario o involontario, incredulità, eresia, apostasia e scisma.
  • a sperare in Lui, che ci donerà la capacità di contraccambiare il suo amore e di agire conformemente ai comandamenti della carità. La speranza è l’attesa fiduciosa della benedizione divina e della beata visione di Dio; è anche il timore di offendere l’amore di Dio e di provocare il castigo. I peccati contro la speranza sono la disperazione e la presunzione.
  • ad amarlo al di sopra di tutto, e tutte le creature per lui e a causa di lui. Si può peccare in diversi modi contro l’amore di Dio: con l’indifferenza, l’ingratitudine, la tiepidezza, l’accidia o pigrizia spirituale e con l’odio di Dio che nasce dall’orgoglio.

Le virtù teologali della fede, della speranza e della carità informano e vivificano le virtù morali.

 

 

- Da PAPA FRANCESCO, Catechesi sui Comandamenti (4, dell’1 agosto 2018)

 

«NON AVRAI ALTRI DEI DI FRONTE A ME»

Es 20,1.3-5a

Abbiamo ascoltato il primo comandamento del Decalogo: «Non avrai altri dei di fronte a me» (Es 20,3). È bene soffermarsi sul tema dell’idolatria, che è di grande portata e attualità.

Il comando vieta di fare idoli [1] o immagini [2] di ogni tipo di realtà: [3] tutto, infatti, può essere usato come idolo. Stiamo parlando di una tendenza umana, che non risparmia né credenti né atei. Per esempio, noi cristiani possiamo chiederci: quale è veramente il mio Dio? È l’Amore Uno e Trino oppure è la mia immagine, il mio successo personale, magari all’interno della Chiesa?

«L’idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio» (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 2113).

Che cos’è un “dio” sul piano esistenziale? È ciò che sta al centro della propria vita e da cui dipende quello che si fa e si pensa. [4] Si può crescere in una famiglia nominalmente cristiana ma centrata, in realtà, su punti di riferimento estranei al Vangelo. [5] L’essere umano non vive senza centrarsi su qualcosa. Allora ecco che il mondo offre il “supermarket” degli idoli, che possono essere oggetti, immagini, idee, ruoli. Per esempio, anche la preghiera. Noi dobbiamo pregare Dio, il nostro Padre. Ricordo una volta che ero andato in una parrocchia nella diocesi di Buenos Aires per celebrare una Messa e poi dovevo fare le cresime in un’altra parrocchia a distanza di un chilometro. Sono andato, camminando, e ho attraversato un parco, bello. Ma in quel parco c’erano più di 50 tavolini ciascuno con due sedie e la gente seduta una davanti all’altra. Che cosa si faceva? I tarocchi. Andavano lì “a pregare” l’idolo. Invece di pregare Dio che è provvidenza del futuro, andavano lì perché leggevano le carte per vedere il futuro. Questa è una idolatria dei nostri tempi. Io vi domando: quanti di voi siete andati a farvi leggere le carte per vedere il futuro? Quanti di voi, per esempio, siete andati a farvi leggere le mani per vedere il futuro, invece di pregare Il Signore? Questa è la differenza: il Signore è vivo; gli altri sono idoli, idolatrie che non servono. 

Come si sviluppa un’idolatria? Il comandamento descrive delle fasi: «Non ti farai idolo né immagine […]. / Non ti prostrerai davanti a loro / e non li servirai» (Es 20,4-5).

La parola “idolo” in greco deriva dal verbo “vedere”. [6] Un idolo è una “visione” che tende a diventare una fissazione, un’ossessione. L’idolo è in realtà una proiezione di se stessi negli oggetti o nei progetti. Di questa dinamica si serve, ad esempio, la pubblicità: non vedo l’oggetto in sé ma percepisco quell’automobile, quello smartphone, quel ruolo – o altre cose – come un mezzo per realizzarmi e rispondere ai miei bisogni essenziali. E lo cerco, parlo di quello, penso a quello; l’idea di possedere quell’oggetto o realizzare quel progetto, raggiungere quella posizione, sembra una via meravigliosa per la felicità, una torre per raggiungere il cielo (cfr Gen 11,1-9), e tutto diventa funzionale a quella meta.

Allora si entra nella seconda fase: «Non ti prostrerai davanti a loro». Gli idoli esigono un culto, dei rituali; ad essi ci si prostra e si sacrifica tutto. In antichità si facevano sacrifici umani agli idoli, ma anche oggi: per la carriera si sacrificano i figli, trascurandoli o semplicemente non generandoli; la bellezza chiede sacrifici umani. Quante ore davanti allo specchio! Certe persone, certe donne quanto spendono per truccarsi?! Anche questa è un’idolatria. Non è cattivo truccarsi; ma in modo normale, non per diventare una dea. La bellezza chiede sacrifici umani. La fama chiede l’immolazione di se stessi, della propria innocenza e autenticità. Gli idoli chiedono sangue. Il denaro ruba la vita e il piacere porta alla solitudine. Le strutture economiche sacrificano vite umane per utili maggiori. Pensiamo a tanta gente senza lavoro. Perché? Perché a volte capita che gli imprenditori di quell’impresa, di quella ditta, hanno deciso di congedare gente, per guadagnare più soldi. L’idolo dei soldi. Si vive nell’ipocrisia, facendo e dicendo quel che gli altri si aspettano, perché il dio della propria affermazione lo impone. E si rovinano vite, si distruggono famiglie e si abbandonano giovani in mano a modelli distruttivi, pur di aumentare il profitto. Anche la droga è un idolo. Quanti giovani rovinano la salute, persino la vita, adorando quest’idolo della droga.

Qui arriva il terzo e più tragico stadio: «…e non li servirai», dice. Gli idoli schiavizzano. Promettono felicità ma non la danno; e ci si ritrova a vivere per quella cosa o per quella visione, presi in un vortice auto-distruttivo, in attesa di un risultato che non arriva mai. 

Cari fratelli e sorelle, gli idoli promettono vita, ma in realtà la tolgono. Il Dio vero non chiede la vita ma la dona, la regala. Il Dio vero non offre una proiezione del nostro successo, ma insegna ad amare. Il Dio vero non chiede figli, ma dona suo Figlio per noi. Gli idoli proiettano ipotesi future e fanno disprezzare il presente; il Dio vero insegna a vivere nella realtà di ogni giorno, nel concreto, non con illusioni sul futuro: oggi e domani e dopodomani camminando verso il futuro. La concretezza del Dio vero contro la liquidità degli idoli. Io vi invito a pensare oggi: quanti idoli ho o qual è il mio idolo preferito? Perché riconoscere le proprie idolatrie è un inizio di grazia, e mette sulla strada dell’amore. Infatti, l’amore è incompatibile con l’idolatria: se un qualcosa diventa assoluto e intoccabile, allora è più importante di un coniuge, di un figlio, o di un’amicizia. L’attaccamento a un oggetto o a un’idea rende ciechi all’amore. E così per andare dietro agli idoli, a un idolo, possiamo persino rinnegare il padre, la madre, i figli, la moglie, lo sposo, la famiglia…, le cose più care. L’attaccamento a un oggetto o a un’idea rende ciechi all’amore. Portate questo nel cuore: gli idoli ci rubano l’amore, gli idoli ci rendono ciechi all’amore e per amare davvero bisogna esseri liberi da ogni idolo.

Qual è il mio idolo? Toglilo e buttalo dalla finestra!

 

  • Il termine Pesel indica «un’immagine divina originariamente scolpita in legno o in pietra, e soprattutto in metallo» (L. KOEHLER - BAUMGARTNER, The Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament, vol. 3, p. 949).
  • Il termine Temunah ha un significato molto ampio, riconducibile a “somiglianza, forma”; quindi, il divieto è assai ampio e queste immagini possono essere di ogni tipo (cfr Koehler - W. Baumgartner, Op. cit., vol. 1, p. 504).
  • Il comando non vieta le immagini in sé – Dio stesso comanderà a Mosè di realizzare i cherubini d’oro sul coperchio dell’arca (cfr Es 25,18) e un serpente di bronzo (cfr Nm 21,8) – ma vieta di adorarle e servirle, cioè l’intero processo di deificazione di qualcosa, non la sola riproduzione.
  • La Bibbia Ebraica si riferisce alle idolatrie cananee col termine Baal, che significa “signoria, relazione intima, realtà da cui si dipende”. L’idolo è ciò che spadroneggia, prende il cuore e diventa perno della vita (cfr Theological Lexicon of the Old Testament, vol. 1, 247-251).
  • Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2114: «L’idolatria è una perversione del senso religioso innato nell’uomo. L’idolatra è colui che “riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia anziché a Dio” (ORIGENE, Contra Celsum, 2, 40)».

L’etimologia del greco eidolon, derivata da eidos, è dalla radice weid che significa vedere (cfr Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1967, vol. III, p. 127).