- Dal CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (nn. 1987 e 1989)

La giustificazione

La grazia dello Spirito Santo ha il potere di giustificarci, cioè di mondarci dai nostri peccati e di comunicarci “la giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo” (Rm 3,22) e mediante il Battesimo (cfr Rm 6,3-4).

La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che opera la giustificazione, secondo l’annuncio di Gesù all’inizio del Vangelo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Sotto la mozione della grazia, l’uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall’alto. “La giustificazione [...] non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore” (CONCILIO DI TRENTO, 1528).

Amerai il prossimo tuo come te stesso

QUINTO COMANDAMENTO “NON UCCIDERE”

(seconda parte)

La legittima difesa

La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario. “Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore. … Il primo soltanto è intenzionale, l’altro è involontario” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae).

L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale: “Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del

necessario, il suo atto è illecito, se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita. … E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui” (IBID.). La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità. Corrisponde ad un’esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l’ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.

L’omicidio volontario

Il quinto comandamento proibisce come gravemente peccaminoso l’omicidio diretto e volontario. L’omicida e coloro che volontariamente cooperano all’uccisione commettono un peccato che grida vendetta al Cielo. L’infanticidio, il fratricidio, il parricidio e l’uccisione del coniuge sono crimini particolarmente gravi a motivo dei vincoli naturali che infrangono. Preoccupazioni eugenetiche o di igiene pubblica non possono giustificare nessuna uccisione, fosse anche comandata dai pubblici poteri. Proibisce qualsiasi azione fatta con l’intenzione di provocare indirettamente la morte di una persona. La legge morale vieta tanto di esporre qualcuno ad un rischio mortale senza grave motivo, quanto di rifiutare l’assistenza ad una persona in pericolo. Tollerare, da parte della società umana, condizioni di miseria che portano alla morte senza che ci si sforzi di porvi rimedio, è una scandalosa ingiustizia e una colpa grave. Quanti nei commerci usano pratiche usuraie e mercantili che provocano la fame e la morte dei loro fratelli in umanità, commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile.

 

- DA SANT’AGOSTINO, LO SPIRITO E LA LETTERA (3.5)

L’UOMO NON FA IL BENE SENZA LA CARITÀ SOPRANNATURALE  CHE GLIENE DÀ L’AMORE E IL DILETTO

Noi diciamo che la volontà umana viene aiutata da Dio a compiere le opere della giustizia nel modo seguente: oltre ad essere stato creato con il libero arbitrio [della volontà], oltre a ricevere la dottrina che gli comanda come deve vivere, l’uomo riceve fin d’ora, mentre cammina nello stato di fede e non di visione, lo Spirito Santo, il quale suscita nel suo animo il piacere e l’amore di quel sommo e immutabile bene che è Dio. Egli allora in forza di questa specie di caparra che gli è stata data della gratuita munificenza divina arde dal desiderio d’obbedire al Creatore e s’infiamma nel proposito d’accedere alla partecipazione della vera luce di Dio, cosicché da dove gli viene l’essere gli viene anche il benessere. Infatti anche il libero arbitrio non vale che a peccare, se rimane nascosta la via della verità. E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive bene. Ma perché tutto ciò sia amato, la carità di Dio si riversa nei nostri cuori non per mezzo del libero arbitrio che sorge da noi, bensì per mezzo dello Spirito Santo che è stato dato a noi.

 

- Dalle Prediche di PADRE RANIERO CANTALAMESSA (dalla Seconda di Quaresima del 22 marzo 2019)

LA PASQUA DEL CRISTO E LA PASQUA DEL CRISTIANO

(prima parte) 1Cor 5,7-8: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e verità”.

In questo testo si parla, in verità, di due Pasque: una Pasqua del Cristo, che consiste nella sua immolazione, e una Pasqua del cristiano che consiste nel passare dalla vecchiaia alla novità, dalla corruzione del peccato alla purezza della vita. La Pasqua di Cristo è già fatta; il verbo in questo caso è al passato: “è stato immolato”. Nei suoi confronti c’è solo il dovere di crederla e celebrarla. La Pasqua del cristiano invece è tutta da fare: in questo caso i verbi sono tutti all’imperativo: “purificatevi… celebriamo”.

La Pasqua di Dio, ora impersonata da Cristo, è l’oggetto del kerigma (l’annuncio del messaggio cristiano); è dono di grazia che si accoglie con fede ed è sempre efficace per se stessa. La Pasqua dell’uomo è oggetto della parenesi (esortazione): si attua mediante le opere e l’imitazione, postula la libertà, dipende dalle disposizioni del soggetto.

Due caratteristiche, o regole, governano la lettura morale dell’Antico Testamento e di tutta la Scrittura:

  • primo, ciò che è avvenuto una volta, deve ripetersi ogni giorno
  • secondo, ciò che è avvenuto per tutti in modo visibile e materiale, deve avvenire in ciascuno, in modo interiore e personale.

Queste due regole si possono riassumere in due parole: attualizzazione e interiorizzazione. Io credo che, per altra strada, detta kerigmatica o esistenziale, la lettura della Sacra Scrittura ha raggiunto questa stessa conclusione, quando insiste sul “per me” e sul “qui e adesso” della Parola di Dio.

Pasqua come passaggio

La tradizione biblica e patristica ha interpretato l’idea pasquale di “passaggio” in vari modi: –          come passaggio sopra, quando indica Dio che passa e risparmia e protegge

  • come passaggio attraverso, quando indica il popolo che passa dall’Egitto alla terra promessa, dalla schiavitù alla libertà
  • come passaggio verso l’alto, quando l’uomo passa dalle cose di quaggiù alle cose di lassù
  • come passaggio fuori, quando l’uomo passa fuori dal peccato o esce dalla schiavitù
  • come passaggio in avanti, quando l’uomo progredisce nella santità e nel bene
  • come passaggio indietro, quando l’uomo passa dalla vecchiaia alla giovinezza dello spirito, quando ritorna alle origini e rientra nel paradiso perduto.

Erano tutte modulazioni dell’idea di Pasqua che rispondevano a schemi e bisogni del loro tempo. Oggi credo che dobbiamo cogliere una sfumatura nuova di questo dinamismo pasquale, una nuova idea di passaggio: il “passaggio dentro”, l’introversione o interiorizzazione! Il passaggio dall’esterno all’interno, da fuori a dentro di noi, dall’Egitto della dispersione e dissipazione, alla terra promessa del cuore. Esiste una Pasqua “esoterica” nel senso più positivo del termine, cioè una Pasqua che si svolge dentro, nel segreto o che tende all’interno. Una Pasqua centripeta e non centrifuga."