- Dal CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (n. 2011)

La carità di Cristo è in noi la sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il carattere soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito davanti a Dio e davanti agli uomini. I santi hanno sempre avuto una viva

consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia: “Dopo l’esilio della terra, spero di gioire fruitivamente di te nella Patria; ma non voglio accumulare meriti per il cielo: voglio spendermi per il tuo solo amore [...]. Alla sera di questa vita comparirò davanti a te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso...” (SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO, Atto di offerta all’Amore misericordioso).

SESTO COMANDAMENTO “NON COMMETTERE ATTI IMPURI - NON COMMETTERE ADULTERIO” (seconda parte)
Le diverse forme della castità

Ogni battezzato è chiamato alla castità. Il cristiano si è “rivestito di Cristo” (Gal 3,27), modello di ogni castità. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita casta secondo il loro particolare stato di vita. … “La castità deve distinguere le persone nei loro differenti stati di vita: le une nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso; le altre, nella maniera quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi” (CONGREG. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Persona humana). Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza.

Ci sono tre forme della virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, quella della verginità. Non lodiamo l’una escludendo le altre. Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è ricca (cfr SANT’AMBROGIO, De viduis, 23). I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità.

Le offese alla castità

La lussuria è il piacere sessuale disordinato, ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione. Per masturbazione si deve intendere l’eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere. “Qualunque ne sia il motivo, l’uso deliberato della facoltà sessuale al di fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità”, in quanto il godimento sessuale vi è ricercato al di fuori della “relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana” (CONGREG.

PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Persona humana, 9). Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l’azione pastorale, si terrà conto dell’immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d’angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare se non addirittura ridurre al minimo la colpevolezza morale.

La fornicazione è l’unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana. Inoltre è un grave scandalo quando vi sia corruzione dei giovani. La pornografia consiste nel sottrarre all’intimità dei partner gli atti sessuali, reali o simulati, per esibirli deliberatamente a terze persone. Offende la castità perché snatura l’atto coniugale, dono intimo degli sposi l’uno all’altro. Lede gravemente la dignità di coloro che vi si prestano (attori, commercianti, pubblico), poiché l’uno diventa per l’altro l’oggetto di un piacere rudimentale e di un illecito guadagno. Immerge gli uni e gli altri nell’illusione di un mondo irreale. Le autorità civili devono impedire la produzione e la diffusione di materiali pornografici.

La prostituzione offende la dignità della persona che si prostituisce, ridotta al piacere che procura. Colui che paga pecca gravemente contro se stesso: viola la castità, alla quale lo impegna il Battesimo e macchia il suo corpo, tempio dello Spirito Santo (cfr 1Cor 6,15-20). La prostituzione costituisce una piaga sociale. Normalmente colpisce donne, ma anche uomini, bambini o adolescenti (in questi due ultimi casi il peccato è, al tempo stesso, anche uno scandalo). Il darsi alla prostituzione è sempre gravemente peccaminoso, tuttavia l’imputabilità della colpa può essere attenuata dalla miseria, dal ricatto e dalla pressione sociale. Lo stupro indica l’entrata per effrazione, con violenza, nell’intimità sessuale di una persona. Esso viola la giustizia e la carità. Lo stupro lede profondamente il diritto di ciascuno al rispetto, alla libertà, all’integrità fisica e morale. Arreca un grave danno, che può segnare la vittima per tutta la vita. È sempre un atto intrinsecamente cattivo. Ancora più grave è lo stupro commesso da parte di parenti stretti (incesto) o di educatori ai danni degli allievi che sono loro affidati.

Castità e omosessualità 

L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (cfr Gen 19,1-29; Rm 1,24-27;1Cor 6,10; 1Tm 1,10), la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” (CONGREG. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Persona humana, 8). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita, non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione. Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.

L’amore degli sposi

La sessualità è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna. Nel matrimonio l’intimità corporale degli sposi diventa un segno e un pegno della comunione spirituale. Tra i battezzati, i legami del matrimonio sono santificati dal sacramento. “La sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte” (GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11).

“Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” (CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 49). La sessualità è sorgente di gioia e di piacere: “Il Creatore stesso… ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il Creatore ha voluto per loro. Tuttavia gli sposi devono saper restare nei limiti di una giusta moderazione” (PIO XII, discorso del 29 ottobre 1951).

Mediante l’unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l’avvenire della famiglia. L’amore coniugale dell’uomo e della donna è così posto sotto la duplice esigenza della fedeltà e della fecondità.

La fedeltà coniugale

La coppia coniugale forma una “intima comunità di vita e di amore… fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie. È stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale” (CONC. ECUM. VAT.II, Gaudium et spes, 48). Gli sposi si donano definitivamente e totalmente l’uno all’altro. Non sono più due, ma ormai formano una carne sola. L’alleanza stipulata liberamente dai coniugi impone loro l’obbligo di conservarne l’unità e l’indissolubilità (cfr CODICE DI DIRITTO CANONICO, 1056). La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele. Il sacramento del Matrimonio fa entrare l’uomo e la donna nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Mediante la castità coniugale, essi rendono testimonianza a questo mistero di fronte al mondo.

 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO suggerisce ai giovani sposi di fare questo discorso alla loro sposa: “Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco alla mia stessa vita. Infatti l’esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura. … Metto l’amore per te al di sopra di tutto e nulla sarebbe per me più penoso che il non essere sempre in sintonia con te”.

- Da PAPA FRANCESCO, Catechesi sui Comandamenti (11/A, del 24 ottobre 2018)

“NON COMMETTERE ADULTERIO”

Mc 10,2-9 Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sui Comandamenti arriviamo oggi alla Sesta Parola, che riguarda la dimensione affettiva e sessuale, e recita: «Non commettere adulterio».

Il richiamo immediato è alla fedeltà, e in effetti nessun rapporto umano è autentico senza fedeltà e lealtà. Non si può amare solo finché “conviene”; l’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve. Come afferma il CATECHISMO: «L’amore vuole essere definitivo. Non può essere “fino a nuovo ordine”» (n. 1646). La fedeltà è la caratteristica della relazione umana libera, matura, responsabile. Anche un amico si dimostra autentico perché resta tale in qualunque evenienza, altrimenti non è un amico. Cristo rivela l’amore autentico, Lui che vive dell’amore sconfinato del Padre, e in forza di questo è l’Amico fedele che ci accoglie anche quando sbagliamo e vuole sempre il nostro bene, anche quando non lo meritiamo.

L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni, e chi non riceve questa accoglienza porta in sé una certa incompletezza, spesso senza saperlo. Il cuore umano cerca di riempire questo vuoto con dei surrogati, accettando compromessi e mediocrità che dell’amore hanno solo un vago sapore. Il rischio è quello di chiamare “amore” delle relazioni acerbe e immature, con l’illusione di trovare luce di vita in qualcosa che, nel migliore dei casi, ne è solo un riflesso.

Così avviene di sopravvalutare per esempio l’attrazione fisica, che in sé è un dono di Dio ma è finalizzata a preparare la strada a un rapporto autentico e fedele con la persona. Come diceva SAN GIOVANNI PAOLO II, l’essere umano «è chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti», che «è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore». È qualcosa che si conquista, dal momento che ogni essere umano «deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo» (cfr Catechesi, 12 novembre 1980).

La chiamata alla vita coniugale richiede, pertanto, un accurato discernimento sulla qualità del rapporto e un tempo di fidanzamento per verificarla. Per accedere al Sacramento del matrimonio, i fidanzati devono maturare la certezza che nel loro legame c’è la mano di Dio, che li precede e li accompagna, e permetterà loro di dire: «Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre». Non possono promettersi fedeltà «nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia», e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita, solo sulla base della buona volontà o della speranza che “la cosa funzioni”. Hanno bisogno di basarsi sul terreno solido dell’Amore fedele di Dio. E per questo, prima di ricevere il Sacramento del Matrimonio, ci vuole un’accurata preparazione, direi un catecumenato, perché si gioca tutta la vita nell’amore, e con l’amore non si scherza. Non si può definire “preparazione al matrimonio” tre o quattro conferenze date in parrocchia; no, questa non è preparazione: questa è finta preparazione. E la responsabilità di chi fa questo cade su di lui: sul parroco, sul vescovo che permette queste cose. La preparazione deve essere matura e ci vuole tempo. Non è un atto formale: è un Sacramento. Ma si deve preparare con un vero catecumenato. 

La fedeltà infatti è un modo di essere, uno stile di vita. Si lavora con lealtà, si parla con sincerità, si resta fedeli alla verità nei propri pensieri, nelle proprie azioni. Una vita intessuta di fedeltà si esprime in tutte le dimensioni e porta ad essere uomini e donne fedeli e affidabili in ogni circostanza.

Ma per arrivare ad una vita così bella non basta la nostra natura umana, occorre che la fedeltà di Dio entri nella nostra esistenza, ci contagi. Questa Sesta Parola ci chiama a rivolgere lo sguardo a Cristo, che con la sua fedeltà può togliere da noi un cuore adultero e donarci un cuore fedele. In Lui, e solo in Lui, c’è l’amore senza riserve e ripensamenti, la donazione completa senza parentesi e la tenacia dell’accoglienza fino in fondo.

Dalla sua morte e risurrezione deriva la nostra fedeltà, dal suo amore incondizionato deriva la costanza nei rapporti. Dalla comunione con Lui, con il Padre e con lo Spirito Santo deriva la comunione fra di noi e il saper vivere nella fedeltà i nostri legami.

- Dalle Prediche di PADRE RANIERO CANTALAMESSA (dalla Seconda predica di Quaresima, 22 marzo 2019)

LA PASQUA DEL CRISTO E LA PASQUA DEL CRISTIANO (terza parte) Ritorno all’interiorità

È urgente tornare a parlare di interiorità e riscoprire il gusto di essa. Viviamo in una civiltà tutta proiettata all’esterno. Avviene nell’ambito spirituale quello che si osserva nell’ambito fisico.

L’uomo invia le sue sonde fino alla periferia del sistema solare, fotografa quello che c’è in pianeti lontani; ignora invece quello che si agita poche migliaia di metri sotto la crosta terrestre e non riesce perciò a prevedere terremoti ed eruzioni vulcaniche. Anche noi sappiamo, ormai in tempo reale, quello che avviene all’altro capo del mondo, ma ignoriamo quello che si agita nel fondo del nostro cuore. Viviamo come in una centrifuga in azione a tutta velocità.

Evadere, cioè uscire fuori, è una specie di parola d’ordine. Esiste perfino una letteratura di evasione, spettacoli di evasione. L’evasione è, per così dire, istituzionalizzata. Il silenzio fa paura. Non si riesce a vivere, lavorare, studiare senza qualche voce o musica intorno. C’è una specie di horror vacui, di paura del vuoto, che spinge a stordirsi.

Ho avuto occasione di mettere piede una volta in una discoteca, invitato a parlare ai giovani ivi raccolti. Mi è bastato per farmi un’idea di che cosa vi regna: l’orgia del chiasso, il rumore assordante come droga. Sono state fatte inchieste tra i giovani all’uscita della discoteca e alla domanda: “Perché vi riunite in questo luogo?”, alcuni hanno risposto: “Per non pensare!”. Ma è facile immaginare a quali manipolazioni sono esposti dei giovani che hanno rinunciato ormai a pensare.

Pesi il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati, così che non diano retta alle parole di Mosè”, fu l’ordine del Faraone d’Egitto (cfr Es 5,9). L’ordine tacito, ma non meno perentorio, dei faraoni moderni è: “Pesi il chiasso su questi giovani, ne siano storditi, cosicché non pensino, non facciano delle scelte libere, ma seguano la moda che fa comodo a noi, comprino quello che diciamo noi, pensino come vogliamo noi!”. Per un settore molto influente della nostra società, quello dello spettacolo e della pubblicità, gli individui contano solo in quanto sono “spettatori”, numeri che fanno salire la “audience” dei programmi.

Occorre opporsi con un risoluto “no!” a questo svuotamento. I giovani sono anche i più generosi e pronti a ribellarsi alle schiavitù e infatti vi sono schiere di giovani che reagiscono a questo assalto e, anziché fuggire, ricercano luoghi e tempi di silenzio e di contemplazione per ritrovare ogni tanto se stessi e, in se stessi, Dio. Sono in tanti, anche se nessuno ne parla. Alcuni hanno fondato case di preghiera e di adorazione eucaristica continuata e attraverso la Rete danno la possibilità a tanti di unirsi a loro.

L’interiorità è la via a una vita autentica. Si parla tanto oggi di autenticità e se ne fa il criterio di riuscita o meno della vita. Il filosofo forse più noto del secolo scorso, MARTIN HEIDEGGER, ha posto questo concetto al centro del suo sistema. Per il cristiano l’autenticità vera non si raggiunge se non vivendo “coram Deo”, al cospetto di  Dio. …

Non sono solo i giovani a essere travolti dall’ondata di esteriorità. Lo sono anche le persone più impegnate e attive nella Chiesa. Anche i religiosi! Dissipazione è il nome della malattia mortale che ci insidia tutti. Si finisce per essere come un vestito rovesciato, con l’anima esposta ai quattro venti.

In un discorso tenuto ai superiori di un ordine religioso contemplativo, SAN PAOLO VI disse: “Oggi siamo in un mondo che sembra alle prese con una febbre che si infiltra perfino nel santuario e nella solitudine. Rumore e frastuono hanno invaso pressoché ogni cosa. Le persone non riescono più a raccogliersi. In preda a mille distrazioni, esse dissipano abitualmente le loro energie dietro le diverse forme della cultura moderna. Giornali, riviste, libri invadono l’intimità delle nostre case e dei nostri cuori. È più difficile di un tempo trovare l’opportunità per quel raccoglimento nel quale l’anima riesce a essere pienamente occupata in Dio”.

 

  1. B) Per lo svolgimento dell’assemblea generale

Si propone di introdurre l’assemblea pregando il SALMO 118,1-18 e riascoltando la proclamazione delle “Dieci Parole” riportate in ES 20,1-17.

- Dal CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (n. 2013)

La santità cristiana

“Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (CONC. ECUM. VAT. II, Lumen gentium, 40). Tutti sono chiamati alla santità: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48): “Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura del dono di Cristo, affinché ..., in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà apportando frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della

Chiesa, dalla vita di tanti santi” (IBID.).

 

SESTO COMANDAMENTO “NON COMMETTERE ATTI IMPURI - NON COMMETTERE ADULTERIO”

(terza parte)

La fecondità del matrimonio

La fecondità è un dono, un fine del matrimonio; infatti l’amore coniugale tende per sua natura ad essere fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall’esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento. Perciò la Chiesa, che “sta dalla parte della vita” (GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, 30), “insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto per sé alla trasmissione della vita”. “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (PAOLO VI, Lett. enc. Humanae vitae, 11). Chiamati a donare la vita, gli sposi partecipano della potenza creatrice e della paternità di Dio (cfr Ef 3,14; Mt 23,9). “Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell’amore di Dio Creatore e come suoi interpreti. E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità” (CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 50).

Un aspetto particolare di tale responsabilità riguarda la regolazione della procreazione. Per validi motivi gli sposi possono voler distanziare le nascite dei loro figli. Devono però verificare che il loro desiderio non sia frutto di egoismo, ma sia conforme alla giusta generosità di una paternità responsabile. “Salvaguardando ambedue gli aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità” (PAOLO VI, Lett. enc. Humanae vitae, 12). La continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l’educazione ad una libertà autentica. Al contrario, è intrinsecamente cattiva “ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione” (IBID., 16).

“Sia chiaro a tutti che la vita dell’uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati solo a questo tempo e non si possono commisurare e capire in questo mondo soltanto, ma riguardano sempre il destino eterno degli uomini” (CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 51). Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. È legittimo che, a questo titolo, prenda iniziative al fine di orientare l’incremento della popolazione. Può farlo con un’informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all’iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e dell’educazione dei propri figli (cfr PAOLO VI, Lett. enc. Humanae vitae, 23; Lett. enc. Populorum progressio, 37). In questo campo non è autorizzato a intervenire con provvedimenti contrari alla legge morale.

Il dono del figlio

La Sacra Scrittura e la pratica tradizionale della Chiesa vedono nelle famiglie numerose un segno della benedizione divina e della generosità dei genitori (cfr CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 50). ... Le ricerche finalizzate a ridurre la sterilità umana sono da incoraggiare, a condizione che si pongano “al servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale, secondo il progetto e la volontà di Dio” (CONGREG. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE). Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l’intervento di una persona estranea alla coppia sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono “il diritto esclusivo [degli sposi] a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro” (IBID., Istr. Donum vitae, intr. 2). 

Praticate in seno alla coppia, tali tecniche sono, forse, meno pregiudizievoli, ma rimangono moralmente inaccettabili. Dissociano l’atto sessuale dall’atto procreatore. L’atto che fonda l’esistenza del figli non è più un atto con il quale due persone si donano l’una all'altra, bensì un atto che “affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e alla uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli”. “La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell’atto coniugale, e cioè del gesto specifico della unione degli sposi…; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i significati dell’atto coniugale, e il rispetto dell’unità dell’essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona” (IBID.). Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il “dono più grande del matrimonio” è una persona umana. Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso “diritto al figlio”. In questo campo, soltanto il figlio ha veri diritti: quello “di essere il frutto dell’atto specifico dell’amore coniugale dei suoi genitori e anche il diritto a essere rispettato come persona dal momento del suo concepimento” (IBID., II,8).

Il Vangelo mostra che la sterilità fisica non è un male assoluto. Gli sposi che, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, si uniranno alla croce del Signore, sorgente di ogni fecondità spirituale. Essi possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo.

Le offese alla dignità del matrimonio. 

L’adulterio designa l’infedeltà coniugale. Quando due partner, di cui almeno uno è sposato, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche episodica, commettono un adulterio. Cristo condanna l’adulterio anche se consumato con il semplice desiderio. Il sesto comandamento e il  Nuovo Testamento proibiscono l’adulterio in modo assoluto (cfr Mt 5,32; 19,6; Mc 10,11; 1Cor 6,911). I profeti ne denunciano la gravità. Nell’adulterio essi vedono simboleggiato il peccato di idolatria (cfr Os 2,7; Ger 5,7; 13,27). L’adulterio è un'ingiustizia. Chi lo commette vien meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell’Alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell’altro coniuge e attenta all’istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell’unione stabile dei genitori.

Il Signore Gesù ha insistito sull’intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile (cfr Mt 19,3-9; Mc 10,9; Lc 16,18; 1Cor 7,10-11). Abolisce le tolleranze che erano state a poco a poco introdotte nella Legge antica. Tra i battezzati “il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte” (CODICE DI DIRITTO

CANONICO, 1141). La separazione degli sposi con la permanenza del vincolo matrimoniale può essere legittima in certi casi contemplati dal Diritto canonico. Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale.

Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente: “Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un’altra donna, è lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui è adultera, perché ha attirato a sé il marito di un’altra” (SAN BASILIO DI CESAREA). Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale. Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C’è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un matrimonio canonicamente valido (cfr GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, 84).

Si comprende il dramma di chi, desideroso di convertirsi al Vangelo, si vede obbligato a ripudiare una o più donne con cui ha condiviso anni di vita coniugale. Tuttavia la poligamia è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa “infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell’uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo” (IBID., 19; cfr CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 4). Il cristiano che prima era poligamo, per giustizia, ha il grave dovere di rispettare gli obblighi contratti nei confronti di quelle donne che erano sue mogli e dei suoi figli.

San Paolo stigmatizza la colpa dell’incesto particolarmente grave: “Si sente da per tutto parlare d'immoralità tra voi... al punto che uno convive con la moglie di suo padre! ... Nel nome del Signore nostro Gesù... questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne” (1Cor 5,1-5; cfr Lv 18,7-20). L’incesto corrompe le relazioni familiari e segna un regresso verso l’animalità. 

Si ha una libera unione quando l’uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l’intimità sessuale. L’espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità a legarsi con impegni a lungo termine (cfr GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, 81). Tutte queste situazioni distruggono l’idea stessa della famiglia, indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve aver posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla Comunione sacramentale. Parecchi attualmente reclamano una specie di “diritto alla prova” quando c’è intenzione di sposarsi. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti “non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci” (CONGREG. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Persona humana, 7). L’unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l’uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L’amore umano non ammette la “prova”. Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro (cfr GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, 80).

 

- Da PAPA FRANCESCO, Catechesi sui Comandamenti (11/B, del 31 ottobre 2018)

IN CRISTO TROVA PIENEZZA LA NOSTRA VOCAZIONE SPONSALE

Ef 5,25-32 Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei completare la catechesi sulla Sesta Parola del Decalogo – “Non commettere adulterio” –, evidenziando che l’amore fedele di Cristo è la luce per vivere la bellezza dell’affettività umana. Infatti, la nostra dimensione affettiva è una chiamata all’amore, che si manifesta nella fedeltà, nell’accoglienza e nella misericordia. Questo è molto importante. L’amore come si manifesta? Nella fedeltà, nell’accoglienza e nella misericordia.

Non va, però, dimenticato che questo comandamento si riferisce esplicitamente alla fedeltà matrimoniale, e dunque è bene riflettere più a fondo sul suo significato sponsale. Questo brano della Scrittura, questo brano della Lettera di San Paolo, è rivoluzionario! Pensare, con l’antropologia di quel tempo, e dire che il marito deve amare la moglie come Cristo ama la Chiesa: ma è una rivoluzione! Forse, in quel tempo, è la cosa più rivoluzionaria che è stata detta sul matrimonio. Sempre sulla strada dell’amore. Ci possiamo domandare: questo comando di fedeltà, a chi è destinato? Solo agli sposi? In realtà, questo comando è per tutti, è una Parola paterna di Dio rivolta ad ogni uomo e donna.

Ricordiamoci che il cammino della maturazione umana è il percorso stesso dell’amore che va dal ricevere cura alla capacità di offrire cura, dal ricevere la vita alla capacità di dare la vita. Diventare uomini e donne adulti vuol dire arrivare a vivere l’attitudine sponsale e genitoriale, che si manifesta nelle varie situazioni della vita come la capacità di prendere su di sé il peso di qualcun altro e amarlo senza ambiguità. È quindi un’attitudine globale della persona che sa assumere la realtà e sa entrare in una relazione profonda con gli altri.

Chi è dunque l’adultero, il lussurioso, l’infedele? È una persona immatura, che tiene per sé la propria vita e interpreta le situazioni in base al proprio benessere e al proprio appagamento. Quindi, per sposarsi, non basta celebrare il matrimonio! Occorre fare un cammino dall’io al noi, da pensare da solo a pensare in due, da vivere da solo a vivere in due: è un bel cammino, è un cammino bello. Quando arriviamo a decentrarci, allora ogni atto è sponsale: lavoriamo, parliamo, decidiamo, incontriamo gli altri con atteggiamento accogliente e oblativo.

Ogni vocazione cristiana, in questo senso, - ora possiamo allargare un po’ la prospettiva, e dire che ogni vocazione cristiana, in questo senso, è sponsale. Il sacerdozio lo è perché è la chiamata, in Cristo e nella Chiesa, a servire la comunità con tutto l’affetto, la cura concreta e la sapienza che il Signore dona. Alla Chiesa non servono aspiranti al ruolo di preti – no, non servono, meglio che rimangano a casa –, ma servono uomini ai quali lo Spirito Santo tocca il cuore con un amore senza riserve per la Sposa di Cristo. Nel sacerdozio si ama il popolo di Dio con tutta la paternità, la tenerezza e la forza di uno sposo e di un padre. Così anche la verginità consacrata in Cristo la si vive con fedeltà e con gioia come relazione sponsale e feconda di maternità e paternità. 

Ripeto: ogni vocazione cristiana è sponsale, perché è frutto del legame d’amore in cui tutti siamo rigenerati, il legame d’amore con Cristo, come ci ha ricordato il brano di Paolo letto all’inizio. A partire dalla “sua” fedeltà, dalla “sua” tenerezza, dalla “sua” generosità guardiamo con fede al matrimonio e ad ogni vocazione, e comprendiamo il senso pieno della sessualità. La creatura umana, nella sua inscindibile unità di spirito e corpo, e nella sua polarità maschile e femminile, è realtà molto buona, destinata ad amare ed essere amata. Il corpo umano non è uno strumento di piacere, ma il luogo della nostra chiamata all’amore, e nell’amore autentico non c’è spazio per la lussuria e per la sua superficialità. Gli uomini e le donne meritano di più di questo!

Dunque, la Parola «Non commettere adulterio», pur se in forma negativa, ci orienta alla nostra chiamata originaria, cioè all’amore sponsale pieno e fedele, che Gesù Cristo ci ha rivelato e donato (cfr Rm 12,1).

 

- Dalle Prediche di PADRE RANIERO CANTALAMESSA (dalla Seconda di Quaresima del 22 marzo 2019)

LA PASQUA DEL CRISTO E LA PASQUA DEL CRISTIANO

(quarta parte)

SANTA TERESA D’AVILA ha scritto un’opera intitolata “Il castello interiore” che è certamente uno dei frutti più maturi della dottrina cristiana dell’interiorità. Ma esiste, ahimè, anche un “castello esteriore” e oggi constatiamo che è possibile essere chiusi anche in questo castello. Chiusi fuori casa, incapaci di rientrarvi. Prigionieri dell’esteriorità! 

SANT’AGOSTINO descrive così la sua vita prima della conversione: “Tu eri dentro di me ed io stavo fuori e ti cercavo quaggiù, gettandomi deforme, sopra queste forme di bellezza che sono creature tue. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature che non esisterebbero neppure se non fosse per te che le fai esistere” (Confessioni, X, 27).

Quanti di noi dovrebbero ripetere questa amara confessione: “Tu eri dentro di me, ma io ero fuori!”. Vi sono alcuni che sognano la solitudine, ma la sognano soltanto. La amano, purché resti nel sogno e non si traduca mai nella realtà. Nella realtà, rifuggono da essa, ne hanno paura. La scomparsa del silenzio è un sintomo grave. Sono stati rimossi quasi dappertutto quei tipici cartelli che a ogni corridoio delle case religiose intimavano in latino: Silentium! Io credo che su molti ambienti religiosi incombe il dilemma: O silenzio o morte! O si ritrova un clima e dei tempi di silenzio e d’interiorità oppure è lo svuotamento spirituale progressivo e totale. Gesù chiama l’inferno “le tenebre esteriori” (cfr Mt 8,12) e questa designazione è altamente significativa.

Non bisogna lasciarsi ingannare dall’obiezione solita: ma Dio lo si trova fuori, nei fratelli, nei poveri, nella lotta per la giustizia; lo si trova nell’Eucaristia che è fuori di noi, nella parola di Dio… Tutto vero. Ma dove è che “incontri” veramente il fratello e il povero, se non nel tuo cuore? Se lo incontri solo fuori, non è un io, una persona che incontri, ma una cosa; lo urti più che incontrarlo. Dov’è che incontri il Gesù dell’Eucaristia se non nella fede, cioè dentro di te? Un vero incontro tra persone non può avvenire che tra due coscienze, due libertà, cioè tra due interiorità.

È errato del resto pensare che l’insistenza sull’interiorità possa nuocere all’impegno fattivo per il regno e per la giustizia; pensare, in altre parole, che affermare il primato dell’intenzione possa nuocere all’azione. Interiorità non si oppone all’azione, ma a un certo modo di fare l’azione. Lungi dal diminuire l’importanza dell’agire per Dio, l’interiorità la fonda e la preserva.

Se vogliamo imitare ciò che Dio ha fatto incarnandosi, imitiamolo davvero fino in fondo. È vero che egli si è svuotato, è uscito da sé, dall’interiorità trinitaria, per venire nel mondo. Sappiamo però come ciò è avvenuto: “Ciò che era rimase, ciò che non era assunse”, dice un antico adagio a proposito dell’incarnazione. Senza abbandonare il seno del Padre, il Verbo venne in mezzo a noi. Anche noi andiamo pure verso il mondo, ma senza uscire mai del tutto da noi stessi. “L’uomo interiore – dice “L’IMITAZIONE DI CRISTO” – si raccoglie spontaneamente perché non si disperde mai del tutto nelle cose esterne. A lui non è di pregiudizio l’attività esterna e le occupazioni a suo tempo necessarie, ma sa adattarsi alle circostanze” (II, 1).

Ma cerchiamo anche di vedere come fare, concretamente, per ritrovare e conservare l’abitudine all’interiorità. Mosè era un uomo attivissimo. Ma si legge che si era fatta costruire una tenda portatile e a ogni tappa dell’esodo fissava la tenda fuori dell’accampamento e regolarmente entrava in essa per consultare il Signore. Lì, il Signore parlava con Mosè “faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,11).

Questo non sempre si può fare. Non sempre ci si può ritirare in una cappella o in un luogo solitario per ritrovare il contatto con Dio. SAN FRANCESCO D’ASSISI suggerisce un altro accorgimento più a portata di mano. Mandando i suoi frati per le strade del mondo, diceva: Noi abbiamo un eremitaggio sempre con noi dovunque andiamo e ogni volta che lo vogliamo possiamo, come eremiti, rientrare in questo eremo. “Fratello corpo è l’eremo e l’anima l’eremita che vi abita dentro per pregare Dio e meditare” (Legenda Perugina, 80, Fonti Francescane, n. 1636).

È la stessa raccomandazione che SANTA CATERINA DA SIENA esprimeva con l’immagine della “cella interiore” che ognuno porta con sé e in cui è sempre possibile ritirarsi con il pensiero, per riannodare un contatto vivo con la Verità che abita in noi. È a questa cella invisibile, non delimitata da pareti, scrive SANT’AMBROGIO, che Gesù ci invita con le parole: “Quando preghi entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto” (Mt 6,6; Su Caino e Abele, I, 9, 38).

Un altro appello altrettanto accorato nella stessa direzione, quello che SANT’ANSELMO D’AOSTA rivolge al lettore all’inizio del suo Proslogion: “Orsù, omuncolo, abbandona per un momento le tue occupazioni, nasconditi un poco ai tuoi tumultuosi pensieri. Abbandona ora le pesanti preoccupazioni, rimanda i tuoi laboriosi impegni. Per un po’ dedicati a Dio e riposati in Lui. Entra nella camera del tuo spirito, escludi da essa tutto, all’infuori di Dio e di ciò che ti possa giovare a cercarlo, e, «chiusa la porta» (Mt 6, 6), cercalo. Di’ ora, o mio cuore, nella tua totalità, di’ ora a Dio: «Io cerco il tuo volto; il tuo volto, o Signore, io cerco» (Sal 27,8)”. 

Con questi desideri e propositi continuiamo il nostro lavoro, a servizio della Chiesa.