7° incontro

- Da Papa Francesco, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale “Fratelli tutti

  1. 1. «Fratelli tutti» (Ammonizioni, 6, 1: FF 155), scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui» (ibid., 25: FF 175). Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita. 

 

- Dalla vita e dagli scritti di Piccola sorella Magdeleine (1898 – 1989)

(prima parte)

Magdeleine Hutin è la più giovane di una famiglia di sei figli. I genitori sono profondamente credenti. Nasce a Parigi nel 1898 ma le sue radici erano nella parte orientale della Francia, nella Lorena.

Ben presto Magdeleine matura il desiderio di donare la sua vita a Dio. Suo padre la contagia con il suo amore per l’Africa del Nord e per gli arabi. Nel 1907 in Francia vengono chiusi gli edifici scolastici religiosi e Magdeleine ripara prima in Spagna, poi a Sanremo, in Italia. Sono anni difficili. Racconta che i compagni la chiamavano “la mummia” e che durante le ricreazioni, invece di giocare, se ne stava in un angolino a rimuginare pensieri tristi.

Nel 1914, quando scoppia la prima guerra mondiale la famiglia Hutin si è stabilita ad Aix-en-provence. … Muore la nonna; due suoi fratelli, chiamati alle armi, muoiono sul campo di battaglia, nel 1916; Maria, la sorella maggiore muore di spagnola nel 1918. Magdeleine ha appena 20 anni alla morte della sorella maggiore (due fratelli erano morti in tenera età) e sente nell’intimo un cambiamento radicale: “Avevo vent’anni ed ero la persona più timida, più chiusa che esistesse al mondo: era la mia vera natura … In un minuto, davanti al suo letto di morte, come un lampo, una seconda natura si è soprapposta alla prima senza sostituirla, e sono uscita da quella camera mortuaria, altra da come ero entrata. …”.

Nel 1921 compare la prima biografia di Charles de Foucauld scritta da René Bazin. Magdeleine ha l’impressione di aver trovato la sua strada. Nel 1925 muore suo padre e lei diventa l’unico sostegno per la madre; le promette che non l’abbandonerà mai. Nel 1928 accetta la direzione di una scuola delle religiose del Sacro Cuore. Si dedica anima e corpo a questo, ma non trascura di pregare il Signore perché la indirizzi sulle tracce di fratel Charles.

Magdeleine sopporta malissimo il clima umido di Nantes e viene colpita da una artrite deformante con progressivo blocco delle articolazioni; i medici le suggeriscono di andare a vivere in un posto dove non cada una goccia d’acqua … e lei: “Il Sahara, sono vent’anni che sogno d’andarci!”.

Anche il suo direttore spirituale che si era sempre opposto, davanti al certificato medico dirà: “Se accetto la sua partenza dopo essermi tanto opposto, è perché ho ottenuto il segno che domandavo a Dio da parecchi anni. Ora credo nella sua vocazione”. E aggiunge: “Vedo che lei non è capace di fare niente, e, nel caso facesse qualcosa, sarà il buon Dio ad averlo fatto. Senza di lui, lei non potrà fare un bel niente!”.

Parte per Algeri il 7 ottobre 1936 con la mamma e una amica, Anne, una ragazza che ha sentito la stessa chiamata. La madre non riesce ad adattarsi alla nuova situazione e dopo alcuni mesi tornerà in Francia.

A Magdeleine il clima fa bene, riesce perfino ad andare a cavallo, incontra gli arabi e si incammina verso i nomadi, lontani alcune ore di cammino: cerca di conoscerli, instaura relazioni di amicizia, anche lei vive nello stesso modo degli arabi.

Nel 1940 torna in Francia e in quattro anni cercherà di far conoscere la sua esperienza parlando nelle sale parrocchiali, nei caffè, parlando degli arabi: “Cercare di assomigliare a loro, ma soprattutto rispettarli. Sembra ovvio, ma se sapeste quanto poco si fa! Ed è così triste vedere che laggiù dei cristiani, dei francesi, si prendono gioco delle loro usanze e persino delle loro preghiere, mentre, anche nel più piccolo gesto che un uomo compie verso Dio, c’è qualcosa di divino che esige infinito rispetto! Oh, per favore! Voi che mi ascoltate, ricordatevi sempre questo: il più miserabile degli esseri umani che incontrate sulla vostra strada è pur sempre una persona. Ha la dignità umana, ed è qualcosa di così grande la dignità umana! Bisogna rispettarla sempre …, non trattate mai nessuno con un atteggiamento di superiorità. Davanti a Dio non ci sono «superiori» e «inferiori»”.

 

Dagli scritti delle Comunità

- don Divo Barsotti, dal “Vademecum”, l’intero testo si può trovare nel Not 153 pag. 38

SIGNIFICATO DEGLI INCONTRI E DELLE ADUNANZE

Si curino con una preparazione delicata gli incontri. Gli incontri debbono essere affettuosi, cordiali; tutti deb­bono partecipare, presentare i propri problemi affinché la luce di ciascuno serva a tutti. L’incontro deve essere una comunione spontanea di anime, un libero scambio di idee, un aprirsi del­l’anima in ordine a quelli che sono i cardini della nostra vita religiosa: la Sacra Scrittura, l’Ufficio Divino, la spiritualità della Comunità.

L’incontro deve essere umile mezzo per realizzare una vita comune di im­pegno religioso. È questa una delle cose più importanti. Solo attraverso gli incontri si acquista quella fedeltà di spirito che è necessaria.

II frutto maggiore della Comunità è la creazione della Comunità stessa, ossia di quell’amore che è il segno del cri­stianesimo. Tutto è secondario alla unità di amore che ci lega. Come l’amore fraterno che fa di tutti un solo corpo in Cristo è frutto della Redenzione, così il nostro amore fraterno è frutto della nostra unità.

La Comunità, oggi, nella Chiesa, pur essendo una cosa così piccola, credo che sia una delle cose più grandi, perché è difficile veramente unire così, come noi siamo uniti, persone di condizioni e stati diversi di vita, persone che hanno cultura con persone che non ne hanno alcuna, giovani e anziani, sposati e persone che sono impegnate fino in fondo anche nella vita spirituale.

Ma i gruppi non debbono divenire cellule chiuse, cia­scuno con la fisionomia del proprio assistente: c’è una sola fisionomia, quella di Cristo. Dobbiamo essere una sola famiglia unita da una sola forza: la carità. Ecco il nostro apostolato: la manifestazione dell’amore che ci portiamo a vicenda e che portiamo agli altri. Il nostro apo­stolato è l’amore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Le parole dette nell’ultima cena da Gesù valgono anche per noi. …

Ma l’adunanza e l’incontro non sono tutto: infatti si po­trebbero frequentare soltanto per obbedienza. Bisogna invece che ci sia una volontà di superare certe durezze interiori e certi orgogli che spesso coltiviamo. Cerchiamo di romperla col nostro amor proprio, col nostro egoismo, e di amare i fratelli di un amore preveniente e gratuito. Dio non ha aspettato di essere amato per amarci.

Rapporti di carità

“Tu sei umiltà, Tu sei pazienza ...”. Se la vita cristiana importa una Incarnazione di Gesù come Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è nel meditare il mistero della sua nascita che noi troviamo le vie per andare al Padre: umiltà, povertà, semplicità, dolcezza di una vita che è tutta un rapporto d’amore con il Padre celeste. Non grandi opere, non grandi sacrifici, non grandi cose, ma vivere come figli bene amati sotto gli occhi di Dio.

La nostra vocazione ci chiama a dare una testimonianza al mondo: le nostre virtù debbono essere quelle passive: l’umil­tà, la dolcezza, la pace, la purezza del cuore, la semplicità. La nostra vita ha una giustificazione in se stessa per il fatto che è vita di amore. Nella carità fraterna, che ci deve unire fra noi, facilmente saranno esercitate tutte le virtù cristiane: ci si impone l’eserci­zio della mortificazione e della pazienza, l’esercizio dell’umiltà, della longanimità, l’esercizio della castità quale impegno di sublimare quell’affetto profondo che ci lega fra noi in tal modo che questo affetto non divenga mai umano, ma sia piuttosto il segno di una presenza di Dio. La nostra vita sarà esercizio di virtù perché tutte le virtù consuma e tutte le virtù sup­pone la carità divina che è l’anima ed è la vita di ogni co­munità religiosa.

Non abbiamo nulla da difendere contro l’amore: né le nostre virtù né i nostri peccati. Tutto è veramente comune perché unica è la vita di tutti. Noi dobbiamo essere nella Chiesa di Dio la testimonianza di una presenza divina; e non saremo que­sta testimonianza di una presenza divina se non sarà superato l’umano, se veramente noi non traspariremo un Altro: non noi ma un Altro che in noi vive ed è in tutti lo stesso ed è in tutti Gesù.

Superare l’umano sempre. È questa la vita religiosa. Anche a noi il Signore ha detto quello che disse ai suoi discepoli, a noi che siamo i suoi discepoli nel mondo di oggi, a noi che sia­mo coloro che seguono Gesù: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13-14). Siamo così povera cosa, eppure la luce del mondo, il sale della terra. Erano forse qualcosa di più Pietro e Giacomo e Gio­vanni e Andrea e Filippo e Bartolomeo? Ed essi erano il sale della terra e la luce del mondo. E noi oggi lo siamo, lo dobbiamo essere se noi ascoltiamo le parole di Cristo, se noi, ascoltando la sua parola, la vivremo. …

Povertà, umiltà, semplicità, pace e gioia nello Spirito Santo e nel Regno di Dio. Per raggiungere tutto questo una sola cosa è necessaria: l’Amore.