Primo periodo (da ottobre a gennaio)
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UN PO’ DI STORIA

Origine e sviluppo della teologia e della prassi penitenziale

Si potrebbero elencare numerosi testi biblici che si riferiscono al ministero ecclesiale della riconciliazione e ne costituiscono il fondamento, sia in un’ottica storica sia sotto l’aspetto teologico. Si possono indicare brani evangelici: Gv 20,22-23; Mt 18,15-35; Mc 2,10; Lc 24,46-47; brani dagli Atti e dalle lettere di Paolo; estratti dalla Didaché (4,14; 14,1), dai Padri della Chiesa, come Ignazio, Origene, Cipriano. E infatti già nelle prime comunità apostoliche, come quella dell’apostolo Giovanni, è chiara la consapevolezza della penitenza o remissione dei peccati (Gv 20,22-23), anche se nel I sec., fino alla prima metà del II, rimane nebuloso come fosse impartita concretamente la penitenza stessa. Tra le testimonianze più significative del periodo apostolico sulla penitenza vanno annoverati gli Scritti del Pastore di Erma. Solo nel III sec., grazie soprattutto alle testimonianze di Tertulliano e di Cipriano, si cominciano ad individuare in modo più chiaro le linee della disciplina penitenziale.

Tra il II e III sec. si è andata sviluppando nella Chiesa una specifica “liturgia della penitenza” che assume forme diverse a seconda che ci si occupi di peccati gravi e manifesti (come apostasia, omicidio, adulterio) oppure di peccati “leggeri” per i quali il perdono poteva essere ottenuto con opere penitenziali, atti di carità, l’elemosina, la preghiera.

Nell’evoluzione storica possiamo distinguere due tappe: penitenza pubblica e confessione auricolare privata.

Dal II sec. al VI è esistita la cosidetta “penitenza pubblica” o canonica. Era riservata ai peccatori ritenuti colpevoli di peccati gravissimi e noti. Era unica, come unico è il battesimo, e si concedeva una sola volta nella vita. Consisteva in un processo di pratiche spirituali e religiose in cui al primo posto stavano la preghiera e il digiuno. Era previsto anche l’allontanamento dalla comunità, verso la quale peraltro il penitente doveva manifestare pubblicamente la sua situazione e la propria decisione di sottoporsi ad un cammino di riconciliazione con Dio.

Terminata la penitenza e ritenuti veramente convertiti, i peccatori venivano “assolti” e riconciliati con la Chiesa nel corso del Giovedì Santo e ammessi alla Comunione pasquale. Una prassi penitenziale così rigida, possibile solo in epoca di grande fervore religioso, metteva in risalto sia la dimensione liturgico-comunitaria, sia la serietà dell’impegno di conversione. Ma la severità di tale prassi, il fatto che potesse essere ottenuta solo una volta, portarono ad una graduale decadenza della stessa.

Mentre decadeva tale prassi, nel VI sec. cominciò a diffondersi la penitenza privata. Anche in questa forma l’assoluzione veniva data solo dopo che il fedele aveva compiuto la penitenza prescritta. Si trattava inoltre di fissare una “tabella di pene” proporzionate alle colpe accusate, che il penitente poteva eseguire di persona o far eseguire dai suoi fratelli di fede.

I rituali della cosidetta “penitenza tariffata” in uso dal VI-VII sec. fino al Concilio Tridentino, si trovano nei “Libri poenitentiales”. La penitenza tariffata è all’origine del sistema attuale della penitenza sacramentale privata. Benché abbia abolito l’unicità della penitenza e gli interdetti penitenziali, essa conserva la struttura delle tre fasi della penitenza canonica (accusa dei peccati, penitenza, riconciliazione dopo la penitenza) e il rigore antico per quanto riguarda le opere penitenziali.

Un’altra tappa importante si ebbe nei sec. XII-XIII, quando i teologi spostarono l’attenzione dalle opere di penitenza richieste per ottenere il perdono, alla formula di assoluzione pronunciata dal ministro, cui veniva riconosciuto un potere sacramentale. Questa concezione ha favorito il diffondersi della prassi penitenziale nuova (tuttora in uso) che consiste nella confessione segreta e ripetibile, con la concessione dell’assoluzione prima di aver compiuto le opere penitenziali, dal momento che alle parole dell’assoluzione ora viene riconosciuta l’efficacia sacramentale.

Il Concilio Lateranense IV, imponendo l’obbligo della confessione privata e segreta almeno una volta all’anno, accanto al principio della comunione pasquale annuale, non faceva che dare corpo al grande precetto che già radunava l’intera comunità per la celebrazione pasquale annuale, facendola precedere da una pratica penitenziale ugualmente comunitaria. I Padri della Chiesa avevano saputo mettere in risalto i grandi valori, personali e insieme comunitari, dell’antica celebrazione penitenziale; ma la loro eccessiva fedeltà ai canoni, che ne regolavano l’esercizio, ha contribuito a mantenerla nella sua rigidità giuridica. La teologia scolastica, a sua volta, tenendo presente solo la confessione privata o auricolare, ha concentrato la sua attenzione sugli atti del penitente (specialmente i modi di contrizione e l’accusa dei peccati), oltre che sul valore dell’assoluzione del ministro.

Il Concilio di Trento (1545-1563) definì il numero dei sacramenti (7) e le loro singole caratteristiche, chiarendo che l’efficacia deriva dalla loro forza intrinseca e dalla giusta amministrazione e non soltanto dalla fede. Quanto alla Penitenza, ne precisa gli elementi costitutivi: contrizione, accusa dei peccati, assoluzione, soddisfazione.

La teologia post-tridentina, in posizione apologetica contro la Riforma protestante, ha accentuato gli aspetti della confessione privata o auricolare che si è andata confermando come la principale, se non l’unica forma di riconciliazione con Dio; c’è da riconoscere che la forma della confessione privata è servita a una migliore formazione delle coscienze ma, trascurando l’aspetto comunitario, ha favorito lo sviluppo di una mentalità un po’ legalistica.

La celebrazione della Penitenza oggi

Seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II, il nuovo rito della penitenza, edito nel 1973, ha articolato la celebrazione del sacramento in tre forme che, salvi sempre gli elementi essenziali, permettono di adattare la celebrazione del Sacramento della Penitenza a determinate circostanze pastorali.

  • La prima forma – riconciliazione dei singoli penitenti – costituisce l’unico modo normale e ordinario della celebrazione sacramentale, e non può né deve essere lasciata cadere in disuso o essere trascurata. La decisione e l’impegno personali sono chiaramente significati e promossi in questa prima forma.
  • La seconda – riconciliazione di più penitenti con confessione e assoluzione individuale -, anche se negli atti preparatori permette di sottolineare di più gli aspetti comunitari del Sacramento, raggiunge la prima forma nell’atto sacramentale culminante, che è la confessione e l’assoluzione individuale dei peccati, e perciò può essere equiparata alla prima forma per quanto riguarda la normalità del rito.
    Tuttavia proprio per il suo carattere comunitario e per la modalità che la distingue, questa forma dà risalto ad alcuni aspetti di grande importanza: la Parola di Dio ascoltata in comune ha un singolare effetto rispetto alla sua lettura individuale, e sottolinea meglio il carattere ecclesiale della conversione e della riconciliazione. Essa risulta particolarmente significativa nei diversi tempi dell’anno liturgico e in connessione con avvenimenti di speciale rilevanza pastorale.
  • La terza forma, invece – riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale – riveste un carattere di eccezionalità, e non è, quindi, lasciata alla libera scelta, ma è regolata da un’apposita disciplina. La confessione individuale ed integra dei peccati con l’assoluzione egualmente individuale costituisce l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa.

Tutto questo è precisato nella Esortazione apostolica post-sinodale “Reconciliatio et paenitentia” (n. 32) del papa san Giovanni Paolo II, già più volte citata nel Catechismo.