Primo periodo (da ottobre a gennaio)

 

  1. Letture per gli incontri.   

    1° incontro

 

UN PO’ DI STORIA

 

Continuità di Magistero

 

I Papi del Concilio Vaticano II e post-concilio, in particolare Paolo VI

 

St 1.4   - La Comunità ed i suoi membri si riconoscono membra di Cristo nella Chiesa cattolica, al cui mistero vogliono fermamente e perfettamente aderire: accolgono con obbedienza di fede tutta la Parola di Dio, Sacra Scrittura e Tradizione, e con docilità gli insegnamenti del suo Magistero, per partecipare sempre più intensamente alla sua vita e alla sua missione.

 

            Evangelii gaudium 1: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”.

 

            Papa Francesco invita appunto a una nuova tappa della evangelizzazione. Non si tratta di partire da zero, è indicata una nuova tappa. C’è la Tradizione. L’Esortazione – e allo stesso modo la successiva Enciclica «Laudato si’» - è costellata di riferimenti ai papi che lo hanno preceduto. Emerge con chiarezza una continuità di Magistero fondamentale, molto significativa ed esemplare anche per noi chiamati a vivere il sopraccitato 1.4 dello Statuto, cioè chiamati a confrontarci con il Magistero su quello che pensiamo, diciamo e facciamo.

 

Intanto il Papa fa riferimento a due Esortazioni del beato papa Paolo VI: Gaudete in Domino ed Evangelii nuntiandi, del 1975, per la costruzione del nome della sua Esortazione: Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo.

 

            Uno dei testi di riferimento poi è la Costituzione conciliare “Dei Verbum, sulla Parola di Dio. Prima la Sacra Scrittura non la si leggeva più integralmente, si aveva paura di sembrare “protestanti”; solo pochi la leggevano, ma per estrarvi le verità, ad esempio per il catechismo. Questo ci porta a ricordare papa Giovanni XXIII, ora santo: fu eletto papa il 28 ottobre 1958 con la convinzione che, data l’età di 77 anni, sarebbe stato “un papa di provvisoria transizione”. Invece iniziò un programma di rinnovamento epocale che prendeva atto della conclusione di un periodo storico e ne apriva un altro al papato stesso e alla Chiesa.

 

Dopo cinque giorni dalla sua elezione parla della possibilità di convocare un concilio. Tra le tante responsabilità assunte, egli avvia dunque senza indugi la riflessione sull’iniziativa intorno alla quale intende imperniare tutto il suo pontificato: la convocazione di un concilio. Dopo una adeguata e laboriosa preparazione apre il Concilio Vaticano II l’11 ottobre 1962: in diverse occasioni affermò che l’idea di un concilio era nata in lui per ispirazione improvvisa dello Spirito Santo: “Non è maturata quale frutto di prolungata considerazione, ma quale fiore spontaneo di inaspettata primavera”. Non fermiamoci a questo aspetto di subitaneità perché se improvvisa poté essere la presa di coscienza esplicita, l’idea affondava le sue radici nella personalità e nel ministero di papa Roncalli come uomo di Chiesa.

 

            Il Concilio doveva essere non dogmatico, ma pastorale. Pastorale vuol dire innanzitutto la premura per l’annuncio a tutti del Vangelo. Amava affermare che “non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio” con l’intervento dello Spirito Santo. Il suo discorso di apertura del Concilio ha come prime parole “Gioisce la madre Chiesa” (Gaudet mater Ecclesia). Allo stesso modo incomincia la Lettera di Papa Francesco: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Il Concilio ha confermato che l’evangelizzazione è un’opera di tutti i fedeli. Il motivo è che ogni cristiano è sacerdote, come Gesù Cristo, e profeta e re. Sacerdote: che consacra il mondo. Il popolo di Dio è un luogo teologico, di manifestazione di Dio.

 

            Il 21 giugno 1963 l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, creato cardinale da Giovanni XXIII, viene eletto pontefice e assume, per auspicio e protezione, il nome di Paolo VI per indicare l’orientamento che ha voluto dare al Suo ministero apostolico e nel giorno del suo inizio, il 30 giugno1963, spiega la scelta: Paolo era l’apostolo “che supremamente amò Gesù Cristo, che in sommo grado desiderò e si sforzò di portare il Vangelo di Cristo a tutte le genti, che per il nome di Cristo offrì la sua vita”. Il 29 settembre 1963 apre il secondo periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II che concluderà solennemente l’8 dicembre 1965.

 

            Nella sua Esortazione papa Francesco riprende molti elementi che gli sono particolarmente cari dalla esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI. Anche quella faceva seguito a un Sinodo sulla evangelizzazione nel mondo di oggi celebrato nel 1974.

 

Papa Francesco è legato all’insegnamento di Paolo VI. Nel 1975 era molto giovane e quindi si formò sulla Evangelii nuntiandi e ne fece in qualche modo la base del suo ministero, per cui l’ha assimilata e l’ha trasmessa in molti modi. Il 19 ottobre 2014, giorno della beatificazione di PaoloVI, papa Francesco nell’omelia diceva: «Mi ritornano alla mente le sue parole, con le quali istituiva il Sinodo dei Vescovi: “Scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi... alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società” (Lett. ap. Motu proprio Apostolica sollicitudo). Nei confronti di questo grande papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!».

 

            Nelle sue annotazioni personali, Paolo VI, all’indomani della chiusura del Concilio, scrisse: «Forse il Signore mi ha chiamato e mi tiene a questo servizio non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, e non altri, la guida e la salva» (P. Macchi, Paolo VI nella sua parola, Brescia 2001, pp. 120-121). In questa umiltà risplende la grandezza del beato Paolo VI che, mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante - e talvolta in solitudine - il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore. Paolo VI ha saputo davvero dare a Dio quello che è di Dio dedicando tutta la propria vita all’«impegno sacro, solenne e gravissimo: quello di continuare nel tempo e di dilatare sulla terra la missione di Cristo» (Omelia nel Rito di Incoronazione, 1963), amando la Chiesa e guidando la Chiesa perché fosse «nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza» (Lett. enc. Ecclesiam Suam, Prologo).

 

            Un altro documento importante che è stato alla base della formazione di papa Francesco è quello dei Vescovi latino-americani della Conferenza di Puebla del 1979. Appena divenuto papa il 16 ottobre 1978, Giovanni Paolo II partecipò a questo Congresso molto importante e significativo. Anch’egli tenne come riferimento costante del suo pontificato il Concilio Vaticano II e l’eredità di Paolo VI, di cui ha mantenuto molte decisioni, ma dando sostanza a quelle forme che il Papa italiano aveva disegnato dicendo: «Desideriamo insistere sulla permanente importanza del Concilio Vaticano II, e ciò è per noi un formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione. Non è forse il Concilio una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa ed anche culturale del mondo?». Nel suo testamento spirituale annotava: «Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito» (17 marzo 2000).

 

            San Giovanni Paolo II è stato un papa concentrato sulla comunicazione del Vangelo. L’evangelizzazione è stata la passione della sua vita: comunicare la fede, parlare di Dio e del Vangelo alla gente, guidare nella preghiera un popolo di credenti. Ha dato fiducia alle strutture tradizionali della Chiesa, le diocesi e le parrocchie, ma ha visto un ruolo decisivo dei movimenti e delle comunità laicali sorte nel Novecento come nuove realtà ecclesiali. Giovanni Paolo II ha voluto che la Chiesa si spendesse sulla frontiera della “nuova evangelizzazione”, e ha considerato i laici una realtà privilegiata per compiere tale missione (Redemptoris missio, lettera enciclica circa la permanente validità del mandato missionario).

 

            Infine Benedetto XVI, eletto papa il 19 aprile 2005, scelse il nome per sottolineare il suo attaccamento all’Europa cristiana, ad una visione della società armonicamente regolata dalla legge di Dio e dalla legge degli uomini in un umanesimo edificato dall’incontro con Dio e non dalla sua esclusione. Anche Benedetto XVI riconosce nel Concilio la bussola del cammino da seguire: «Anch’io pertanto, nell’accingermi al servizio, che è proprio del Successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei precedessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa… Con il passare degli anni, i documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della società globalizzata del nostro presente» (21 aprile 2005). Ai cristiani tutti, infine, Benedetto XVI chiese un rinnovato impegno per l’evangelizzazione: «Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé… Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo!» (Discorsi di Colonia, alla XX Giornata mondiale della gioventù, 18-21 agosto 2005).