SCHEDA N. 22 – “LA FAMIGLIA, IL SERVIZIO AL REGNO DI DIO, LA PARTECIPAZIONE ALLA MISSIONE DELLA CHIESA”

 

Dalla Sacra Scrittura

1Cor 9,16: “Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!”.


Dallo Statuto

La Comunità ha tra i suoi fini:… il servizio al Regno di Dio… col desiderio di portare Cristo e il Vangelo di famiglia in famiglia perché in ciascuna di esse risplenda l’immagine di Dio e ogni casa diventi Cenacolo, vera Chiesa e luogo di trasmissione della fede per ogni uomo che nasce (1.3).

 

Proposta di approfondimento

La famiglia di Nazareth che ha vissuto la vita ordinaria in modo straordinario è esempio per ogni nostra famiglia.

La Bibbia si apre con la creazione dell’uomo e della donna e si chiude con la visione nell’Apocalisse delle nozze dell’Agnello. Dall’inizio alla  fine  la  Scrittura  ci  parla  del matrimonio, quindi appare chiaro che il matrimonio non è un’istituzione puramente umana.

Dio ha creato l’umanità per amore e la persona cresce nella misura in cui crede nell’amore di Dio e degli altri, lo accoglie liberamente e lo contraccambia con il dono di sé (cfr. Catechismo degli adulti, 1047). L’uomo e la donna, creati l’uno per l’altro, nel loro reciproco amore, diventano immagine dell’amore con cui Dio ama l’umanità.

Il peccato che ha rotto il rapporto con Dio, ha rotto anche la comunione fra l’uomo e la donna e ha introdotto nel mondo le infedeltà, i disordini sessuali, il divorzio e la poligamia, ma più radicalmente ha reso menzognero il rapporto di coppia: non più comunione e rispetto reciproco, bensì bramosia e dominio (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 1606-1608).

Dio non ha abbandonato l’umanità dopo la colpa, ma per ristabilire l’ordine sconvolto, l’uomo e la donna devono cogliere, in una prospettiva religiosa, la grazia di Dio che arriva loro attraverso Gesù. All’inizio della vita pubblica, a Cana Gesù partecipa a una festa di nozze e, su richiesta di sua Madre, compie il miracolo e dona l’aiuto del sacramento agli sposi, cioè dona loro la forza di vivere il matrimonio da credenti nel regno. Lo splendore infatti dell’amore coniugale cristiano deriva dalle sue qualità fondamentali: libertà, oblatività, totalità, unità, fedeltà, indissolubilità, fecondità e sacramentalità (cfr. Catechismo degli adulti, 1058).

Il sacramento del matrimonio è segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa e inserisce l’amore umano nella corrente dell’amore divino che è lo Spirito Santo. Per questa grazia, essi si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, nell’accettazione e nell’educazione della prole (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 1641).

Il matrimonio sacramento non dispensa dalla fatica, ma la rende sensata e possibile con un cammino spirituale di coppia, fatto di preghiera, di ascolto della Parola, di Eucaristia, di gesti di attenzione reciproca e di dialogo assiduo (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 1642).

Sviluppo e pienezza del matrimonio è  la  famiglia  cioè  una  comunità  di  persone  (uomo  e donna uniti in matrimonio e i loro figli) stabile e socialmente approvata, tenuta insieme da vincoli morali, religiosi e legali di rispetto, di amore, di cooperazione e assistenza reciproca. La famiglia è la cellula fondamentale della società…, ne genera i nuovi membri, forma la loro personalità (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 2201-2202). La politica dovrebbe  rivolgere  un’attenzione privilegiata alla famiglia e servirla con iniziative di sostegno e di integrazione (cfr. Catechismo degli adulti, 1069). Fra credenti e non credenti che si sposano c’è una apparente identità di situazione. “I cristiani si sposano come gli altri, e come gli altri hanno figli…” (Lettera a Diogneto, nel Breviario vol. II, pag. 757), ma c’è una specifica identità cristiana che va conosciuta e salvaguardata. Per questo ogni disposizione di legge anche civile che concerne la famiglia  deve  essere  considerata  con attenzione e letta anche alla luce della fede.

È l’amore umano vissuto in pienezza in Cristo, con Cristo e per Cristo che porta la famiglia cristiana a manifestarsi come Vangelo vivente, buona notizia che suscita speranza (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 1655).

Ai nostri giorni, in un  mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono come focolari di fede viva e irradiante. Per questo motivo il Concilio Vaticano II, usando un’antica espressione chiama la famiglia “ecclesia domestica” (chiesa domestica), perché è in essa che in maniera privilegiata si esercita il sacerdozio battesimale del padre, della madre, dei figli e di ogni suo membro. Infatti in essa ogni giorno si offre a Dio il culto spirituale con la preghiera comune, segno di fede e di amore, e l’offerta del proprio stare insieme nella fatica e nel riposo, nella sofferenza e nella gioia (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 1657).

Anche la casa diventa segno dell’appartenenza al Signore, perciò in essa si collocano segni religiosi (crocifisso e icone) e si crea un angolo della preghiera dove la Bibbia trovi la sua collocazione visibile. Animata da una spiritualità familiare più propriamente laicale, che convive con il lavoro e l’inserimento sociale, la famiglia cristiana deve recuperare oggi la forza evangelizzatrice che essa possiede fin dall’antichità e ispirarsi al modo di vivere della Chiesa: partecipando, condividendo, facendo comunione. Nel momento in cui antiche strutture cadono e molti per paura non si sposano, la Chiesa indica nel matrimonio e nella famiglia non l’ultima trincea da difendere, ma il nucleo di forza su cui ricostruire l’intero nuovo tessuto sociale. La Chiesa inoltre sostiene la partecipazione delle famiglie a gruppi e movimenti di  spiritualità coniugale come la nostra (cfr. Catechismo degli adulti, 1072).

Fra i doni costitutivi della Comunità dei figli di Maria di Nazareth c’è innanzitutto la famiglia nel mistero del sacramento nuziale, immagine della Trinità di Dio che è uno, nella comunione d’amore delle distinte persone.

Sostenute dalla preghiera delle Sorelle e del sacerdote della Comunità, le famiglie si mettono ogni giorno in ascolto della volontà di Dio e lavorano per “seminare” nel cuore dei figli e di coloro che sono stati loro affidati, il buon seme della Parola, per formare pietre vive che, guidate alla conoscenza di Dio, canteranno in eterno la sua gloria.

La  famiglia  di  Nazareth che ha vissuto la vita ordinaria in modo straordinario è  esempio per ogni nostra famiglia nella quale si esprime la lode di Dio (specialmente attraverso la Liturgia delle ore), il lavoro con la coerente testimonianza evangelica negli ambienti in cui si vive e il servizio alle necessità di ogni fratello che è nel bisogno. Ogni membro della Comunità infatti si sente chiamato, sull’esempio di Maria che comunica ad Elisabetta tutta la luce del disegno divino, a portare Cristo e il suo Vangelo di famiglia in famiglia perché in ciascuna di esse risplenda l’immagine di Dio e ogni casa diventi cenacolo, vera Chiesa e luogo di trasmissione della fede (cfr. Statuto sopra).

In modo particolare le famiglie della Comunità si riferiscono all’esempio delle prime comunità cristiane descritte negli Atti degli apostoli e alle famiglie che hanno aderito e condiviso la stessa missione apostolica, come quella di Aquila e Priscilla: esse tengono aperte le loro case e formano gruppi di fraternità in cui si prega settimanalmente e ci si sostiene, in un cammino continuo di ricerca di Dio nella sequela di Gesù Cristo, crocifisso e risorto.

 

Dal Magistero dei papi

  • Messaggio di papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2008

FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE

All’inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il tema con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuore: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunione tra persone è quella che l’amore suscita tra un uomo e una donna decisi ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione, quali s’addicono a membri dell’unica famiglia umana: «Tutti i popoli - ha sentenziato il Concilio Vaticano II - formano una sola comunità, hanno un’unica origine, perché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr. At 17,26), ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio».

Famiglia, società e pace

La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, costituisce «il luogo primario dell’“umanizzazione” della persona e della società», la «culla della vita e dell’amore». A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, «un’istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale».

In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione  dell’autorità  espressa  dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è «la prima e vitale cellula della società», si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il «sapore» genuino della pace meglio che nel «nido» originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella «grammatica» che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole.

La  famiglia,  poiché  ha  il  dovere  di  educare  i  suoi  membri,  è  titolare  di  specifici  diritti.  La stessa  Dichiarazione   universale   dei   diritti   umani,   che   costituisce   un’acquisizione   di   civiltà giuridica di valore veramente universale, afferma che «la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato». Da parte sua, la Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si legge: «I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell’individuo, hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua nativa e vitale espressione». I diritti  enunciati  nella  Carta  sono  espressione  ed  esplicitazione   della   legge   naturale,   iscritta   nel cuore dell'essere umano e  a  lui  manifestata  dalla  ragione.  La  negazione  o  anche  la  restrizione  dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace.

Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale «agenzia» di pace. È questo un punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebolire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che direttamente o indirettamente ne frena la disponibilità all’accoglienza responsabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima responsabile dell’educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un'essenziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza.

 

-    Dal discorso di papa Francesco alle famiglie in pellegrinaggio a Roma nell’Anno della fede,

sabato 26 ottobre 2013

FAMIGLIA, VIVI LA GIOIA DELLA FEDE!

Care famiglie!

Buonasera e benvenute a Roma!

Siete venute pellegrine da tante parti del mondo per professare la vostra fede davanti  al sepolcro di San Pietro. Questa piazza vi accoglie e vi abbraccia: siamo un solo popolo,  con un’anima sola, convocati dal Signore che ci ama e ci sostiene. Saluto anche tutte le famiglie che sono collegate mediante la televisione e internet: una piazza che si allarga senza confini!

Avete voluto chiamare questo momento “Famiglia, vivi la gioia della fede!”. Mi piace, questo titolo. Ho ascoltato le vostre esperienze, le storie che avete raccontato. Ho visto tanti bambini, tanti nonni… Ho sentito il dolore delle famiglie che vivono in situazione di povertà e di guerra. Ho ascoltato i giovani che vogliono sposarsi seppure tra mille difficoltà. E allora ci domandiamo: come è possibile vivere la gioia della fede, oggi,  in famiglia? Ma io vi domando anche:  È possibile vivere questa gioia o non è possibile?

C’è una parola di Gesù, nel Vangelo di Matteo, che ci viene incontro: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). La vita spesso è faticosa, tante volte anche tragica! Abbiamo sentito recentemente. … Lavorare è fatica; cercare lavoro è fatica. E trovare lavoro oggi chiede tanta fatica! Ma quello che pesa di più nella vita non è questo: quello che pesa di più di tutte queste cose  è la  mancanza  di amore. Pesa  non ricevere un sorriso, non essere accolti. Pesano certi silenzi, a volte anche in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli. Senza amore la fatica diventa più pesante, intollerabile. Penso agli anziani  soli,  alle famiglie che fanno fatica perché non sono aiutate a sostenere chi in casa ha bisogno di attenzioni speciali e di cure. «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi», dice Gesù.

 

Care famiglie, il Signore conosce le nostre fatiche: le conosce! E conosce i pesi della nostra vita. Ma il Signore conosce anche il nostro profondo desiderio di trovare la gioia del ristoro! Ricordate? Gesù ha detto: «La vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Gesù vuole che la nostra gioia sia piena! Lo ha detto agli Apostoli e lo ripete oggi a noi. Allora questa è la prima cosa che stasera voglio condividere con voi, ed è una parola di Gesù: Venite a me, famiglie di tutto il mondo - dice Gesù - e io vi darò ristoro, affinché la vostra gioia sia piena. E questa Parola di Gesù portatela a casa, portatela nel cuore, condividetela in famiglia. Ci invita ad andare da Lui per darci, per dare a tutti la gioia.

La seconda parola la  prendo dal rito del Matrimonio. Chi si sposa nel Sacramento dice:

«Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Gli sposi in quel momento non sanno cosa accadrà, non sanno quali gioie e quali dolori li  attendono.  Partono,  come  Abramo,  si  mettono  in  cammino  insieme.  E questo  è  il  matrimonio!  Partire  e  camminare  insieme,  mano  nella  mano,  affidandosi  alla  grande mano del Signore. Mano nella mano, sempre e per tutta la vita! E non fare caso a questa cultura del provvisorio, che ci taglia la vita a pezzi!

Con questa fiducia nella fedeltà di Dio si affronta tutto, senza paura, con responsabilità. Gli sposi cristiani non sono ingenui, conoscono i problemi e i pericoli della vita. Ma non hanno paura di assumersi la loro responsabilità, davanti a Dio e alla società. Senza scappare, senza isolarsi, senza rinunciare alla missione di formare una famiglia e di mettere al mondo dei figli. - Ma oggi, Padre, è difficile… -. Certo, è difficile. Per questo ci vuole la grazia, la grazia che ci dà il Sacramento! I Sacramenti non servono a decorare la vita - ma che bel matrimonio, che bella cerimonia, che bella festa!… - Ma quello non è il Sacramento, quella non è la grazia del Sacramento. Quella è una decorazione! E la grazia non è per decorare la vita, è per farci forti nella vita, per farci coraggiosi, per poter andare avanti! Senza isolarsi, sempre insieme. I cristiani si sposano nel Sacramento perché sono consapevoli di averne bisogno! Ne hanno bisogno per essere uniti tra loro e per compiere la missione di genitori. “Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. Così dicono gli sposi nel Sacramento e nel loro Matrimonio pregano insieme e con la comunità. Perché? Perché si usa fare così? No! Lo fanno perché ne hanno bisogno, per il lungo viaggio che devono fare insieme: un lungo viaggio che non è a pezzi, dura tutta la vita! E hanno bisogno dell’aiuto di Gesù, per camminare insieme con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! E questo è importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti, tutti! Talvolta facciamo cose che non sono buone e fanno male agli altri. Avere il coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo. …

Nella vita la famiglia sperimenta tanti momenti belli: il riposo, il pranzo insieme, l’uscita nel parco o in campagna, la visita ai nonni, la visita a una persona malata. … Ma se manca l’amore manca la gioia, manca la festa, e l’amore ce lo dona sempre Gesù: Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà la sua Parola e ci dà il Pane della vita, perché la nostra gioia sia piena.

E per finire, qui davanti a noi, questa icona della Presentazione di Gesù al Tempio. È un’icona davvero bella e importante. Contempliamola e facciamoci aiutare da questa immagine. Come tutti voi, anche i protagonisti della scena hanno il loro cammino: Maria e Giuseppe si sono messi in marcia, pellegrini a Gerusalemme, in obbedienza alla Legge del Signore; anche il vecchio Simeone e la profetessa Anna, pure molto anziana, giungono al Tempio spinti dallo Spirito Santo. La scena ci mostra questo intreccio di tre generazioni, l’intreccio di tre generazioni:  Simeone  tiene  in braccio il bambino Gesù, nel quale riconosce il Messia, e Anna è ritratta nel gesto di lodare Dio e annunciare la salvezza a chi aspettava la redenzione d’Israele. Questi due anziani rappresentano la fede come memoria. Ma vi domando: “Voi ascoltate i nonni? Voi aprite il vostro cuore alla memoria che ci danno i nonni?”. I nonni sono la saggezza della famiglia, sono la saggezza di un popolo. E un popolo che non ascolta i nonni, è un popolo che muore! Ascoltare i nonni! Maria e Giuseppe sono la Famiglia santificata dalla presenza di Gesù, che è il compimento di tutte le promesse. Ogni famiglia, come quella di Nazareth, è inserita nella storia di un popolo e non può esistere senza le generazioni precedenti. E perciò oggi abbiamo qui i nonni e i bambini. I bambini imparano dai nonni, dalla generazione precedente.

Care famiglie, anche voi siete parte del popolo di Dio. Camminate con gioia insieme a questo popolo. Rimanete sempre unite a Gesù e portatelo a tutti con la vostra testimonianza. Vi ringrazio di essere venute. Insieme, facciamo nostre le parole di san Pietro, che ci danno forza e ci daranno forza nei momenti difficili: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Con la grazia di Cristo, vivete la gioia della fede! Il Signore vi benedica e Maria, nostra Madre, vi custodisca e vi accompagni. Grazie!

 

-  Sintesi della riflessione di papa Francesco alla Veglia di sabato 4 ottobre 2015 (Not. 139)

OGNI FAMIGLIA È SEMPRE UNA LUCE

Ogni famiglia è sempre una luce, per quanto fioca nel buio del mondo. Francesco lo sottolinea fortemente durante la Veglia, perché è la risposta a quando, “in certe stagioni della vita”, ci si chiede se si possono vincere tenebre e oscurità, ci si chiude e ci si tira indietro per fuggire la “responsabilità di fare fino in fondo la propria parte”. È Dio che esorta a tornare nel mondo, ad essere testimoni dell’amore di Dio per l’uomo, e “la grazia di Dio non alza la voce”.

Come quella dell’anno scorso, anche la preghiera di questa Veglia è per invocare lo Spirito Santo che accompagni i padri sinodali perché sappiano ascoltare e confrontarsi, con lo sguardo dritto su Gesù “Parola ultima del Padre e criterio di interpretazione di tutto”. E il Papa chiede di pregare: “… Perché il Sinodo sulla famiglia che domani si apre sappia ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare; riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità, che la mettono alla prova: la povertà, la guerra, la malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane «buona notizia» da cui sempre ripartire”.

Francesco ricorda che fu Charles de Foucauld ad intuire “la portata della spiritualità che emana da Nazaret”, “dal mistero della Santa Famiglia”: “Guardando alla Famiglia di  Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane”.

Amando gli altri si impara ad amare Dio, curvandosi sul prossimo ci si eleva a Dio. De Foucauld, “attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati”, capì che sono loro gli evangelizzatori e che è da loro che si impara a crescere in umanità. E quindi ecco che come de Foucauld entrò nella famiglia di Nazaret, per capire oggi la famiglia occorre entrare “nella sua vita nascosta, feriale e comune”, con le pene, le gioie, con la “vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo”.

È luogo - la famiglia - di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare ed essere perdonati”.

Il Sinodo, è l’indicazione di Francesco, più che parlare di famiglia dovrà “mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla”. “Ritroveremo lo spessore di una Chiesa che è madre, capace di generare alla vita e attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non si saprà unire compassione alla giustizia, il rischio è di finire con l’essere inutilmente severi e profondamente ingiusti.

La Chiesa che “è famiglia” si pone con l’amore di un padre, responsabile  custode  “che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta.  Soprattutto, una Chiesa  di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è  essenzialmente  un  dono,  che rimane tale anche quando percorre strade diverse”.

La Chiesa, spiega il Papa, “è casa aperta”, “lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti - provati dalla vita - hanno il cuore ferito e sofferente”. È quindi questa la Chiesa, conclude Francesco, che “può rischiarare davvero la notte dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei per  prima vive l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del Padre”.

 A) Per lo svolgimento dell’assemblea di Cenacolo/Delegazione o l’incontro di vita comune. Concludiamo con questa assemblea il percorso formativo, diviso in due anni, sulla nostra Comunità, riflettendo ancora sul nostro carisma, sulla composizione e sulla missione a cui siamo chiamati, nel desiderio di crescere nella fedeltà, con convinzione e amore.

 

SCHEDA N. 16 – “LA NOSTRA COMUNITÀ: CARISMA, COMPOSIZIONE, MISSIONE”

Dalla Sacra Scrittura

Mt 6,33: “Cercate…, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date

in aggiunta”.


Dallo Statuto e Direttorio

È Maria, e il mistero della sua divina maternità, a suggerire ai consacrati l’atteggiamento di ascolto e di docilità, davanti alla Parola del Signore. Ella ha accolto Cristo, Figlio di Dio, per opera dello Spirito Santo, accettando nella sua vita il disegno di Dio e donandosi totalmente a Lui; ha portato Cristo alla famiglia di Zaccaria ed Elisabetta, e continua a donarlo agli uomini con il suo amore materno. Ella nella Santa Famiglia di Nazareth Vergine, Sposa, Madre, Vedova … ha vissuto la vita ordinaria in modo straordinario ed esemplare per ogni stato di vita (1.2 St.).

La Comunità, suscitata dallo Spirito Santo come unica famiglia, si arricchisce di diversi doni, concessi da Dio ai suoi membri; questi sono uniti dalla consacrazione come fondamentale e personale risposta alla grazia del battesimo (2.1 St.).

 

La nostra scelta di vita cristiana ha trovato la sua forma stabile nella costituzione di una Associazione.
Proposta di approfondimento

La comunione dei diversi doni

Uno dei principali motivi della nostra consacrazione in Comunità è un motivo di “osmosi”, di comunione: essere legati con chi ha doni diversi dai propri, così da completarsi vicendevolmente. I carismi personali non vanno appiattiti, tutti devono essere considerati, distinti e valorizzati, però ci deve essere uno scambio.

Una vita dedicata alla preghiera, secondo Cristo, fa dilatare il cuore  a  tutti  gli  altri  nella carità: rende sempre più sensibile la responsabilità per i peccati del mondo, la compassione per i pesi che gli uomini portano, il desiderio di collaborare all’universale redenzione. Anche se per raccogliersi si prendono delle distanze dagli altri, si rimane uniti alla Comunità  e  a  tutto il popolo del Signore, per portare a Lui i fratelli, come Gesù, innanzitutto con la preghiera.

Per contro, chi vive nel mondo deve pregare e deve essere già un contemplativo adesso, nella fede, che è per tutti l’inizio della visione, della vita eterna. Il contatto con una casa di preghiera richiama ad una radicalità per il Signore, alla necessità di lasciare trasfigurare tutta  la  realtà presente dall’umiltà dell’ascolto e della supplica davanti a Dio.

È un bene l’osmosi, lo scambio, non solo nascosto, ma reale, fra i doni diversi, nel segno di una medesima comunità in cammino. Maria di Nazareth, Vergine  e  Madre,  ci  tenga uniti, come figli suoi e ci insegni ad essere, vicino a lei, “un cuore solo e un’anima sola”, e insieme “umili servitori” del Regno di Dio. Con queste premesse la Comunità rimane aperta a tutti, per accogliere e sostenere chiunque voglia entrare in questo impegno, o  meglio  chiunque  voglia aprirsi, consapevolmente e fraternamente, a questa chiamata.

Quattro grandi maestri di santità

Di tutta la ricchissima spiritualità cattolica, la Piccola Famiglia dell’Annunziata e la Comunità dei figli di Dio ci hanno trasmesso la preferenza per quattro santi: sant’Ignazio di Antiochia, san Benedetto, san Francesco, santa Teresa di Gesù Bambino. Affermiamo il nostro amore alla tradizione cercando di conoscere particolarmente gli scritti di questi maestri di santità, che vorremmo sentire come presenze vive accanto a noi.

“La Regola va pure attinta dalla predilezione fiduciosa per quattro santi: sant’Ignazio martire, san Benedetto, san Francesco e santa Teresa di Gesù Bambino, dei quali rileggeremo gli scritti per trovare:

  • nelle lettere di sant’Ignazio l’invito all’amore per il corpo di Cristo nella sua Chiesa: specialmente nei Sacerdoti, nel Vescovo e nella comunione tra i Vescovi e tra le Chiese;
  • nella Regola di san Benedetto il senso della comunità come famiglia sovrannaturale che nasce e si rigenera ogni giorno nella divina Liturgia, e dell’obbedienza filiale;
  • negli scritti di san Francesco l’alimento a un desiderio sempre più forte di semplicità e di povertà evangelica;
  • nell’autobiografia e nelle lettere di santa Teresina il modello e la forza per la ricerca esclusiva di Dio solo, Padre, Figlio e Spirito Santo, e per l’abbandono infantile al suo Amore misericordioso” (dalla Regola della Piccola Famiglia dell’Annunziata).

Sant’Ignazio è per noi un richiamo continuo a vivere in unione con la Chiesa gerarchica, un richiamo continuo a vivere un nostro rapporto vivo con Cristo Gesù; da san Benedetto noi soprattutto rileviamo il carattere comunitario, il senso della comunità, l’unità di tutta la famiglia che si riunisce in nome di Cristo. Da san Francesco impariamo il senso evangelico della vita, nel distacco di tutto per vivere unicamente di Dio. Santa Teresa di Gesù Bambino ci insegnerà la latitudine del suo amore; anche la nostra preghiera deve essere, come la sua, prima di tutto la lode divina, ma anche l’intercessione universale nel senso di una solidarietà universale verso i peccatori” (dal Vademecum della Comunità dei figli di Dio, pag. 158).

 

- Dalle Circolari di don Divo Barsotti, Pentecoste 1966

AMIAMO LA COMUNITÀ

Carissimi,

in questa ottava della festa di Pentecoste vi giunga la mia parola come un richiamo vivo e pressante ad essere sempre  più  fedeli alla vostra vocazione e  docili  all’azione  dello Spirito che vi conduce a Dio.

Egli ci ha chiamati e noi gli abbiamo risposto, ma la chiamata urge ancora nel profondo e ci spinge a una risposta sempre più generosa e fedele. È così facile stancarci lungo il cammino! È così facile che nel nostro egoismo inconsapevole, noi pretendiamo, piuttosto che effettivamente donarci. È tanto facile che l’anima nostra si senta delusa, non perché Dio ha  mancato  alle promesse, ma perché noi pretendevamo, senza forse essere pienamente coscienti, che Egli volesse consentire qualcosa alle nostre ambizioni, ai nostri egoismi, alle nostre suscettibilità, all’amor proprio che ancor insidia la nostra vita religiosa anche in quel che sembra  la più pura espressione del nostro impegno.

Grande sarebbe certo il merito di un’anima che continuamente crescesse nell’amore di Dio, nella purezza e nella generosità del suo servizio ai fratelli. Eppure ci sembra che per crescere sarebbe necessario soltanto essere fedeli. È Dio che ci porta se noi rimaniamo nelle sue mani, come quando ci donammo a Lui un giorno forse lontano. Le difficoltà, le tentazioni che necessariamente sopraggiungono e seguono l’atto della consacrazione non fanno che radicare sempre più saldamente in Dio l’anima che si è consacrata, se essa non vacilla e non riprende il suo dono.

Non dovete dunque spaventarvi  di  conoscere  queste difficoltà, di avere queste tentazioni, di provare il  peso e la stanchezza del cammino.  Sarebbe piuttosto da preoccuparsi se non fosse così. Il crescere nell’amore è il crescere soltanto nella purezza, nello spogliamento di ogni soddisfazione segreta del nostro amor proprio, è il progressivo venir meno di ogni appoggio sensibile. La gioia dell’anima nel possesso divino diviene ogni giorno più segreta, più libera da ogni contaminazione sensibile, si identifica sempre più alla semplice fedeltà dell’anima che rimane tranquilla nel buio e nel silenzio perché sicura di Dio cui si è donata.

Vorrei, miei cari, che noi fossimo sempre più consapevoli che è per questo cammino di spogliamento che Dio ci conduce. Non rimproveriamo Dio  quasi Egli  ci tolga qualcosa,  se di fatto nel vuoto che Egli fa, Egli stesso nel suo puro silenzio viene ad abitare. Sia sempre più semplice la nostra preghiera, più pura la nostra adesione  e  rendiamoci  conto  che  la  nostra risposta al Signore non ci isola, non ci separa dai nostri fratelli, anzi crea sempre più profondo il legame che ci unisce tra noi. Così l’amore di Dio viene provato nell’amore che dobbiamo portarci tra noi, nell’amore che portiamo alla Comunità, a quella Comunità che il Signore stesso ha creato con la consacrazione che abbiamo fatto a Lui della nostra vita: non una Comunità ideale soltanto immaginata da noi, o viva nel ricordo di un passato. ma quella Comunità reale che ci ha accolti, nella quale noi siamo, alla quale dobbiamo appartenere totalmente così come apparteniamo al Signore.

Ognuno di noi entrando in essa ha portato qualcosa: tutto quel che ognuno ha portato è di tutti. E non riduciamo la Comunità alla  nostra  misura. Se non sentiamo i problemi  degli altri, se non sappiamo uscire un poco dagli stretti confini di una nostra esperienza per vivere nel cuore di tutti, il nostro amore alla Comunità non è vero.

I giovani debbono sentire amorosamente la presenza delle persone anziane, già cadenti che si avviano alla pace del regno di Dio. Con quanta tenerezza, con quanto delicato affetto debbono pensare a questi loro fratelli e sorelle! Così gli anziani debbono amare i giovani, non essere troppo disturbati dall’ingenua presunzione che è propria di coloro che, non conoscendo ancora la stanchezza del cammino, credono facilmente di essere arrivati alla meta.

Come debbono imparare non solo a sopportarli ma ad amarli nelle loro generosità, nel loro fervore! Quanto anch’essi hanno bisogno di questo calore umano per sapersi liberare alcune volte dalla tristezza, dallo scoraggiamento, dal grigiore della monotonia del viaggio!

Così le persone che credono di sapere qualcosa sappiano amare quelle che sono meno dotate, le più semplici, che non sono davvero meno amate da Dio. Quale grazia che la loro presenza inviti tutti a spogliarsi della presunzione del sapere, dell’orgoglio di classe per mettersi su un medesimo piano con gli umili, che è il piano stesso di Dio! I più semplici, poi, non si sentano umiliati quasi fossero capitati per sbaglio in seno ad una famiglia di anime troppo diverse dalla loro. Quello che deve fare di tutti un’anima sola è l'amore che in tutti deve regnare.

Amiamo la Comunità. È nell’amarla che Dio rende facile per noi l’esercizio di ogni virtù: della pazienza, dell’umiltà, della purezza, della semplicità, della gioia. …

Possa il Signore donare a noi quell'amore che è sempre fecondo e che, come ci colma di gioia, così trabocca sugli altri e lo comunica spontaneamente ai vicini. Io vi chiedo di rivolgere tutti una preghiera al Signore perché si degni di donare a noi questo amore o ravvivarlo se  già  lo possediamo. … Nel ricordo e nell’amore per tutti loro, vi benedico e vi chiedo una preghiera per me.

 
Dal Magistero dei papi

- Dalla riflessione di papa Francesco all’Angelus di domenica 7 luglio 2013

 

Cari fratelli e sorelle! Buongiorno!

… Il Vangelo di questa domenica (Lc 10,1-12.17-20) ci parla del fatto che Gesù non è un missionario isolato, non vuole compiere da solo la sua missione, ma coinvolge i suoi discepoli. E oggi vediamo che, oltre ai Dodici apostoli, chiama altri settantadue, e li manda nei villaggi, a due a due, ad annunciare che il Regno di Dio è vicino. Questo è molto bello! Gesù non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, con lo stile della fraternità. Per questo forma subito una comunità di discepoli, che  è  una comunità missionaria. Subito li allena alla missione, ad andare.

Ma attenzione: lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo  è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, e anche oggi  è urgente! Non  c’è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti uguale. Ai malati si porta la guarigione, perché Dio vuole guarire l’uomo da ogni male. Quanti missionari fanno questo! Seminano vita, salute, conforto alle periferie del mondo. Che bello è questo! Non vivere per se stesso, non vivere per se stessa, ma vive per andare a fare il bene! Ci sono tanti giovani oggi in Piazza : pensate a questo, domandatevi: Gesù  mi chiama a  andare, a  uscire  da me  per fare il bene? A voi, giovani, a voi ragazzi e ragazze vi domando: voi, siete coraggiosi per questo, avete il coraggio di sentire la voce di Gesù? È bello essere missionari!... Ah, siete bravi! Mi piace questo!

Questi settantadue discepoli, che Gesù manda davanti a sé, chi sono? Chi rappresentano? Se i Dodici sono gli Apostoli, e quindi rappresentano anche i Vescovi, loro successori, questi settantadue possono rappresentare gli altri ministri ordinati, presbiteri e diaconi; ma in senso più largo possiamo pensare agli altri, ai ministeri nella Chiesa, ai catechisti, ai fedeli laici che si impegnano nelle missioni parrocchiali, a chi lavora con gli ammalati, con le diverse forme di disagio e di emarginazione; ma sempre come missionari del Vangelo, con l’urgenza del Regno che è vicino. Tutti devono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!

Dice il Vangelo che quei settantadue tornarono dalla loro missione pieni di gioia, perché avevano sperimentato la potenza del Nome di Cristo contro il male. Gesù lo conferma: a questi discepoli Lui dà la forza di sconfiggere il maligno. Ma aggiunge: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Non dobbiamo vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è uno solo, è il Signore! Protagonista è la grazia del Signore! Lui è l’unico protagonista! E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo.

Cari amici, la gioia! Non abbiate paura di essere gioiosi! Non abbiate paura della gioia! Quella gioia che ci dà il Signore quando lo lasciamo entrare nella nostra vita, lasciamo che Lui entri nella nostra vita e ci inviti ad andare fuori noi alle periferie della vita e annunciare il Vangelo. Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!

 

* * *

 

Nel pellegrinaggio in un Santuario mariano all’inizio dell’anno comunitario dopo la Santa Eucaristia si recita, a più voci, la Preghiera di affidamento della Comunità alla Vergine Maria di don Divo Barsotti.

Possiamo recitare insieme l’ultima parte, come ringraziamento di questo percorso formativo, fiduciosi nel Suo aiuto.

 

Madre dei fedeli! Prega per noi poveri peccatori.

Insegnaci a vivere nell'amicizia con Dio e nel mutuo soccorso fraterno per camminare sulle vie del Signore, forti nella fede  e fortificati dal  sostegno della tua presenza.

Ti presento i miei fratelli e le mie sorelle della Comunità. Accogli tutti nella tua bontà rassicurante e nella tenerezza materna perché essi  sono  amati  da  tuo Figlio, Gesù, che te li ha affidati nel momento in cui offriva la sua vita per la moltitudine.

Amen.